Il «voto maggiorato» aiuta la stabilità
Se la possibilità di emettere azioni "a voto plurimo" risponde all'obiettivo di ampliare la gamma di strumenti utilizzabili per permettere alle imprese di raccogliere nuove risorse nel mercato dei capitali, il meccanismo delle azioni a "voto maggiorato" è invece pensato come strumento per stimolare il mantenimento di investimenti azionari a lungo termine (al fine di favorire la stabilità degli indirizzi di gestione dell'impresa) e, dunque, la presenza di azionisti durevoli, non orientati al cosiddetto short-termism e dotati (appunto mediante il voto maggiorato) di un più effettivo potere di monitoring.
Dal punto di vista tecnico, occorre sottolineare che le loyalty shares italiane (a differenza delle azioni "a voto plurimo", le quali, in effetti, vanno a comporre una speciale categoria di azioni) non rappresentano una nuova categoria di azioni. La previsione della maggiorazione del voto è, invero, una clausola statutaria che modifica (in melius, per i soci aventi diritto) la regola di attribuzione del diritto di voto, altrimenti spettante in base al criterio proporzionale correlato al numero delle azioni di cui un dato soggetto sia titolare.
La maggiorazione del diritto di voto, in altri termini, è connessa non all'azione in sé, bensì alla "persona" dell'azionista (e quindi spetta - con parità di trattamento - a tutti gli azionisti che la "meritano", e non solo a quelli titolari di "certe" azioni), e ciò in funzione del tempo per il quale ciascuna azione è stata nella sfera di titolarità dell'azionista stesso; ciò che vale anche ad affermare che le azioni "a voto maggiorato" non impattano con il divieto (valevole per le società quotate) di emissione di azioni "a voto plurimo", in quanto appunto non si tratta (come le azioni "a voto plurimo") di titoli speciali, ma di un beneficio che al titolare delle azioni ordinarie deriva dalla sua protratta permanenza nel capitale sociale. Ne è poi conseguente dimostrazione la previsione (articolo 127-quinquies, comma 3, Tuf) del venir meno del beneficio del voto maggiorato in caso di cessione a titolo oneroso o gratuito delle azioni il cui titolare avesse appunto beneficiato del voto maggiorato.
Occorre poi notare che è stato disposto, in deroga ai quorum costitutivi e deliberativi previsti dal codice civile, una regola di favore per l'introduzione, negli statuti delle società quotate, del regime di queste azioni "a voto maggiorato". Infatti, le deliberazioni di modifica dello statuto (con le quali sia introdotto il voto maggiorato), che vengano votate entro il 31 gennaio 2015 (data peraltro che appare troppo stretta per apprestare la convocazione dell'assemblea di una società quotata) da società che fossero iscritte nel Registro delle imprese al momento di entrata in vigore della legge di conversione del Dl 91/2014, potranno essere assunte, anche in prima convocazione, con il voto favorevole della maggioranza del capitale presente in assemblea, quando invece, per introdurre modifiche statutarie, è (di regola) necessario, in prima convocazione, il voto favorevole dei soci che rappresentino più della metà del capitale sociale. E, in seconda convocazione (in presenza del quorum costitutivo pari a oltre un terzo del capitale sociale), il voto favorevole di oltre la metà del capitale sociale, oppure, in mancanza, il voto favorevole di almeno i due terzi del capitale presente in assemblea.
Ancora, in ragione del fatto che le azioni "a voto maggiorato" non costituiscono una categoria speciale di azioni e analogamente alla disciplina del dividendo maggiorato di cui all'articolo 127-quater, Tuf, il legislatore del "decreto Competitività" ha previsto che la delibera di modifica statutaria per l'introduzione del voto maggiorato non comporti il diritto di recesso dei soci non consenzienti.