Controlli e liti

Immobili conferiti a società esterovestite con imposta di registro proporzionale

Per il prelievo in misura fissa non basta la residenza estera della conferitaria secondo la Ctr Emilia Romagna 861/5/2020

È soggetto a imposta di registro in misura proporzionale, e non fissa, il conferimento di immobili situati nel territorio dello Stato a servizio dell’aumento di capitale di una società di diritto inglese, se la stessa è da considerare esterovestita perché non svolge alcuna attività effettiva all’estero. Sono questi i princìpi affermati dalla commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna con la sentenza 861, quinta sezione, del 13 gennaio 2020 (presidente Buonauro e relatore D’Amato).
Nel 2014 due coniugi residenti in Italia conferiscono, in una società con sede legale a Londra, la proprietà di alcuni fabbricati e terreni agricoli localizzati in Italia, peraltro riservandosi il diritto di abitazione su uno dei fabbricati. Il conferimento, effettuato con atto notarile in Italia, viene sottoposto a imposta di registro in misura fissa, anziché proporzionale, ai sensi della nota IV all’articolo 4 della Tariffa allegata al Dpr 131/1986, applicabile quando la società destinataria del conferimento ha la sede legale o amministrativa in un altro Stato membro dell’Unione europea.
L’agenzia delle Entrate contesta l’operazione sotto il profilo dell’esterovestizione, perché riscontra l’assenza di un’effettiva attività economica svolta dalla società nel territorio inglese, avendo il conferimento a oggetto beni localizzati in Italia e utilizzati direttamente dai soci. Per l’effetto, l’ufficio liquida l’imposta di registro nella misura proporzionale con le aliquote previste per i conferimenti “ordinari” di immobili in società italiane.
I contribuenti impugnano l’avviso di liquidazione protestando, tra l’altro, che la citata norma agevolativa prevede l’applicazione dell’imposta in misura fissa alla sola condizione che la società destinataria del conferimento abbia sede legale o amministrativa in un altro Stato membro dell’Unione Europea, senza fare alcun distinguo in base al luogo di effettivo esercizio dell’attività sociale. I giudici di primo grado accolgono il ricorso, ma l’ufficio presenta appello e la Ctr ribalta l’esito del giudizio.
Secondo i giudici di appello, la residenza estera della società conferitaria è condizione necessaria ma non sufficiente ai fini dell’applicabilità dell’agevolazione. In particolare, il conferimento di beni a una società estera rappresenta legittimo esercizio del principio di libertà di stabilimento tutelato a livello comunitario, ma solo a condizione che alla forma giuridica estera corrisponda una realtà economica effettiva. Al riguardo, vengono richiamati i princìpi affermati dalla Corte di cassazione in tema di abuso del diritto di stabilimento, la cosiddetta “esterovestizione”, che si configura ogni qual volta la localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero sia solo fittizia e non seguita da una corrispondente e genuina realtà economica, permanendo nel territorio dello Stato la sede effettiva dell’amministrazione (si vedano le sentenze n. 2869/2013 e n. 16697/2019). E il suddetto principio, a detta dei giudici, vale non solo per le imposte dirette ma anche per quelle indirette.
Nel caso in esame, i giudici della Ctr valutano come inconsistente l’operatività imprenditoriale del veicolo societario estero. Su queste basi, la Ctr accoglie l’appello e conferma gli avvisi di liquidazione, con ricalcolo dell’imposta di registro in misura proporzionale, condannando altresì i contribuenti al pagamento delle spese di giudizio.

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