Immobili, il Fisco può rideterminare il prezzo in base a una vendita di 5 anni prima
Per la Ctr Lazio non occorre che l’atto risalga ai 3 anni precedenti, né che i locali abbiano la stessa metratura
Il valore di un immobile compravenduto può essere rideterminato ai fini dell’imposta di registro sulla base del prezzo di un atto di compravendita di cinque anni prima relativo allo stesso immobile, considerando l’incremento di valore derivante dall’ampliamento della superficie commerciale intervenuta tra i due atti. È quanto si desume dalla sentenza 2286/2021 della Ctr Lazio (presidente e relatore Maiello).
Ai sensi dell’articolo 43 del Dpr 131/1986, la base imponibile per i contratti a titolo oneroso traslativi o costitutivi di diritti reali è generalmente costituita dal valore del bene o del diritto alla data dell’atto. Il successivo articolo 51, al comma 2 precisa che per gli atti che hanno per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari si intende per valore quello venale in comune commercio, mentre il comma 3 dispone che l’ufficio, ai fini dell’eventuale rettifica, controlla il valore avvalendosi sostanzialmente di tre criteri alternativi, ovvero:
- avendo riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo e alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni alla data dell’atto o a quella in cui se ne produce l’effetto traslativo o costitutivo, che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni;
- considerando il reddito netto di cui gli immobili sono suscettibili, capitalizzato al tasso mediamente applicato alla detta data e nella stessa località per gli investimenti immobiliari;
- sulla base di «ogni altro elemento di valutazione», anche derivante da indicazioni eventualmente fornite dai Comuni.
La Suprema corte, in proposito, con un orientamento ormai ampiamente consolidato, ha stabilito che i criteri di valutazione di cui all’articolo 51 sono pari ordinati, nulla autorizzando a ritenere il terzo subordinato alla oggettiva impossibilità di ricorrere ai parametri oggettivi di cui ai precedenti criteri (ex pluris, Cassazione 10233/2012, 21644/2009). In sostanza, tali criteri di valutazione hanno pari dignità e, in riferimento al criterio comparativo, in particolare, la circostanza secondo cui deve aversi riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo ed alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni, non implica l’immodificabilità del valore risultante da tali atti, ma si limita ad indicare un parametro certo di confronto, in base al quale l’ufficio deve determinare il valore del bene in comune commercio (Cassazione 9956/2015, 4363/2011).
Nel caso oggetto della pronuncia in commento, l’ufficio aveva utilizzato il criterio comparativo per elevare il valore dichiarato dell’immobile in atto pari a 100.000 euro sino a circa 1,9 milioni di euro, a fronte dell’importo di 700.000 euro proposto dal contribuente in sede di adesione (poi non andata a buon fine) sulla base di una perizia di parte.
I giudici di prime cure avevano rideterminato il valore in 1,2 milioni di euro, considerando che l’ufficio aveva legittimamente comparato una compravendita per lo stesso immobile avvenuta, però, non fino a tre anni prima, ma cinque anni prima, al prezzo di circa un milione di euro, a fronte, tuttavia, di una superficie commerciale di molto inferiore, perché nelle more della vendita oggetto della pronuncia era stato recuperato il piano seminterrato come superficie adatta ad attività commerciale, incrementando così il valore dell’immobile.
Il collegio regionale ha stabilito che, a fronte di tale ragionamento logico e argomentato, il contribuente non aveva assolto l’onere posto a suo carico di confutarlo con altri elementi. Da qui la conferma della decisione.