Immobili non abitativi: canoni tassati anche se non percepiti
Non rileva la sentenza di convalida di sfratto su capannoni e negozi
Il canone di affitto di un immobile ad uso non abitativo va dichiarato anche se non percepito e la situazione non muta se l'inadempimento è accertato con sentenza di convalida di sfratto. Con questo principio, la decisione 5496/06/2019 della Ctr Lazio (presidente Panzani, relatore Caputi) si allinea alla giurisprudenza prevalente e sottolinea la diversità sussistente, nel nostro ordinamento, tra immobili abitativi e non.
La fattispecie è piuttosto comune, in particolare a seguito della crisi immobiliare intervenuta nello scorso decennio. Un contribuente privato stipula, in veste di proprietario, un contratto di locazione di un immobile ad uso non abitativo, per la durata di sei anni. Dopo i primi anni il conduttore diviene inadempiente ed il locatore smette di dichiarare i canoni non percepiti, tanto più che ottiene una sentenza di convalida di sfratto. Ciò nonostante, il reddito derivante dai canoni non incassati viene accertato dall’Agenzia, ed il ricorso del contribuente viene rigettato sia in primo grado che in appello.
La commissione romana ricorda come l'articolo 26 del Tuir preveda una deroga al generale principio di tassazione per cassa, stabilendo che i canoni di locazione immobiliare concorrono a formare il reddito indipendentemente dalla loro percezione. Il legislatore ha previsto un temperamento per gli immobili ad uso abitativo, stabilendo che si torna al principio di cassa a seguito della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore e attribuendo addirittura uno specifico credito d'imposta nel caso in cui, giunti a tale momento, il contribuente abbia già dovuto assoggettare ad imposizione le somme non percepite.
Per i contratti stipulati dal 1° gennaio scorso, è più facile (e, soprattutto, veloce) far valere la mancata percezione, essendo sufficiente l'intimazione di sfratto per morosità o anche l'ingiunzione di pagamento. Ma tutto questo vale per i contratti riguardanti gli immobili abitativi. Per gli altri immobili (capannoni, negozi, uffici, etc.) la Corte costituzionale (sentenza 362/2000) ha stabilito che l’obbligo di dichiarare i canoni sussiste sino a quando resta in vita il contratto di locazione, perché solo dal momento in cui quest’ultimo viene (per qualunque causa legale) a cessare, l’obbligazione del conduttore inadempiente acquisisce natura risarcitoria e non più di canone locatizio.
Il principio è stato espresso più volte sia dalla Corte di cassazione (per tutte, sentenza 12332/2019) che dalla stessa agenzia delle Entrate (circolare 11/E/2014), la quale ha affermato che la prova della risoluzione del contratto può derivare da un provvedimento giudiziale ottenuto dal locatore, ovvero dalla documentazione (con data certa) prodotta dal medesimo, da cui risulti l’inadempimento e la volontà di avvalersi della clausola pattuita contrattualmente. Senza dimenticare le altre ipotesi di risoluzione di diritto, quali la diffida ad adempiere infruttuosa (articolo 1454, Codice civile) o lo scadere di un termine pattuito come essenziale (articolo 1457). Tutti elementi non individuati dai giudici nel caso di specie.
Nello stesso senso di questa decisione si vedano, recentemente, Ctr Lazio 696/13/2020 e 3752/17/2019, Ctr Veneto 98/02/2018 e Ctp Napoli 9807/10/2018.