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Immobili a stima diretta, la Cassazione difende la rendita attribuita con il Docfa senza avviso di classamento

L’ordinanza 7854/2020: procedimento partecipativo, quindi la mancata allegazione non è un difetto di motivazione

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di Roberto Bianchi

L’attribuzione della rendita catastale a seguito della procedura Docfa in base a una stima diretta eseguita dall’ufficio (come accade per gli immobili classificati nel gruppo catastale D) costituisce un atto conosciuto e comunque prontamente e facilmente conoscibile per il contribuente in quanto posto in essere nell’ambito di un procedimento a struttura fortemente partecipativa. Di conseguenza, la mancata riproduzione o allegazione all’avviso di classamento non si traduce in un difetto di motivazione. A tale conclusione è giunta la Cassazione con l’ordinanza 7854/2020.

La decisione della Suprema Corte merita più di una riflessione in quanto, relativamente alla motivazione degli atti attributivi della rendita catastale, si registra un contrasto giurisprudenziale.

L’attuale giurisprudenza di legittimità ha imposto agli Uffici di argomentare compiutamente tutti gli atti di riclassamento catastale emessi e, pertanto, anche quelli afferenti i fabbricati appartenenti al gruppo speciale D per i quali il classamento viene proposto attraverso il sistema Docfa.

L’esigenza di un’accurata motivazione rappresenta un requisito essenziale dell’atto amministrativo in quanto tale, indipendentemente dalle circostanze ascrivibili alle casistiche particolari. A ciò si aggiunga che la motivazione deve essere presente nell’atto sin dalla sua origine poiché, qualora risulti assente o incompleta, all’Ufficio è negata la possibilità di integrarla successivamente nel corso del processo tributario: ciò è finalizzato a garantire al contribuente, che non partecipa al riclassamento, la possibilità «di conoscerne i presupposti, di valutare l’opportunità di farvi o meno acquiescenza e di approntare le proprie difese con piena cognizione di causa, nonché per impedire all’Amministrazione, nel quadro di un rapporto di leale collaborazione, di addurre in un eventuale successivo contenzioso ragioni diverse rispetto a quelle enunciate» (Cassazione ordinanza 15495/2013).

L’ordinanza 12497/2016 ha rammentato come i giudici di legittimità abbiano da tempo chiarito (Cassazione sentenza 23237/2014) che in tali circostanze «l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’Ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati, mentre, in caso contrario, la motivazione dovrà essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercito del diritto di difesa del contribuente sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso».

Tuttavia, in tali evenienze, qualora l’Ufficio modifichi «i dati fattuali indicati dal contribuente rivedendo specificamente i valori indicati e l’estensione del bene ai fini del classamento», si manifesta in capo all’amministrazione finanziaria l’obbligo di argomentare compiutamente le motivazioni (Cassazione, sentenza 5580/2015).

Non è pertanto condivisibile l’assunto abbracciato dal collegio di legittimità nella sentenza 2268/2014 (recepito nell’ordinanza in commento), opposta all’ordinanza 3394/2014, secondo la quale, considerato che il procedimento catastale è fortemente partecipativo, agli Uffici è consentito di evitare di motivare le proprie rettifiche.

Tuttavia, soprattutto in merito agli immobili di categoria speciale, i meri dati posti dall’Ufficio a correzione della denuncia di parte, non sono sufficienti a fare comprendere le effettive ragioni della rettifica.

Il menzionato comportamento da parte dell’Agenzia rappresenta una tra le principali ragioni per cui, in un ambito impositivo nel quale non è possibile beneficiare dell’accertamento con adesione, è presente un consistente contenzioso. Ne deriva che, considerata la scarsa efficacia che generalmente riveste in questo ambito l’istituto dell’autotutela, l’unica possibilità per contestare un provvedimento di tal fatta risiede nell’impugnazione.

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