Imposte

Imposta di bollo sul conto deposito anche se la clientela non è residente

immagine non disponibile

di Marco Piazza

Una banca italiana che offre i propri conto deposito a clientela non residente attraverso piattaforme informatiche gestite da società non residenti in Italia è tenuta ad applicare l’imposta di bollo sulle comunicazioni periodiche alla clientela, anche se la gestione e amministrazione del rapporto è affidata ad una banca non residente. Lo ribadisce la risposta a interpello 496/2019 pubblicata ieri dalle Entrate che conferma la risposta 376 fornita in relazione a un caso analogo.

La risposta si fonda sul fatto che il presupposto per l’applicazione dell’imposta di bollo (articolo 13, comma 2-ter della tariffa, parte prima, allegata al Dpr 642 del 1972) è costituito dalle comunicazioni periodiche alla clientela relative, fra l’altro ai depositi bancari e postali. L’imposta, inoltre, è dovuta dai cosiddetti «enti gestori» fra i quali vi sono le banche operanti in Italia.

Il concetto di clientela - desunto dal provvedimento del governatore della Banca d’Italia del 9 febbraio 2011 - comprende qualsiasi soggetto persona fisica e giuridica che ha in essere un rapporto contrattuale o che intenda entrare in relazione con l’intermediario. La definizione prescinde dalla residenza del soggetto.

In pratica, ai fini dell’imposta di bollo non rileva che le comunicazioni periodiche della banca italiana siano veicolate attraverso un intermediario finanziario non residente. L’origine della comunicazione (emessa da un ente gestore italiano) è sufficiente a generare il presupposto impositivo.

Viene da chiedersi cosa accada nel caso speculare in cui un residente in Italia detenga un conto deposito con una banca estera gestito attraverso una banca italiana.

Si deve in primo luogo verificare se sia dovuta l’Ivafe, dato che il tributo è dovuto solo sui “prodotti finanziari” , i conti correnti e i libretti di risparmio detenuti all’estero da persone fisiche residenti in Italia (articolo 19, comma 18, del Dl 201/2011), nozione che apparentemente non comprende i conti deposito.

Tuttavia, con un intento sistematico, il parere 386 del 2019 afferma che ai fini della definizione di «prodotti finanziari», rilevante per l’Ivafe, occorre fare riferimento all’ambito oggettivo di applicazione dell’imposta di bollo di cui all’articolo 13 della Tariffa, che comprende anche i depositi bancari e postali (si veda anche l’articolo 1, comma 1, lettera c, del decreto attuativo 24 maggio 2012 e la circolare 48/2012).

Poi si deve tener conto del fatto che sui prodotti finanziari oggetto di un contratto di amministrazione con una società fiduciaria residente o di custodia, amministrazione o gestione con soggetti intermediari residenti, l’Ivafe non è dovuta in quanto l’articolo 5 del provvedimento 5 giugno 2012 prevede che su tali attività venga applicata l’imposta di bollo da parte dell’intermediario italiano e - come precisa la circolare 28/E/2012 - tali attività non sono considerate detenute all’estero.

Se i titolare del conto deposito presso una banca estera, gestito attraverso un intermediario italiano, fosse – infine - un soggetto non residente, non dovrebbe verificarsi alcuna applicazione di imposta di bollo in Italia, in quanto non si verificherebbe il presupposto di applicazione dell’Ivafe (il titolare del conto non è residente), nè quello dell’imposta di bollo poiché, stando alla ricostruzione contenuta nella risposta in commento, l’intermediario italiano non potrebbe essere considerato «ente gestore».

Agenzia delle Entrate, risposta a interpello 496/2019

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©