Imposte

Imposta sulla pubblicità, no agli aumenti comunali

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di Giuseppe Debenedetto

A partire dal 2013 i comuni non erano più legittimati a introdurre o confermare gli aumenti dell’imposta sulla pubblicità. È quanto affermato dal Dipartimento delle finanze con la risoluzione 2/DF/2018 . Rispetto alle bozze dei giorni scorsi, il ministero evita di indicare esplicitamente ai comuni la strada dell’annullamento in autotutela, che però resterebbe all’atto pratico la via obbligata per seguire le indicazioni della risoluzione.

Indicazioni che rappresentano una buona notizia per imprese e commercianti, che potrebbero chiedere il rimborso di quanto pagato in eccedenza, ma anche una batosta per i Comuni che si vedrebbero privare di entrate già consolidate, intorno ai 3-400 milioni secondo le prime stime.

Il ministero dell’Economia ricostruisce i diversi passaggi normativi e si sofferma sugli effetti della sentenza n. 15/2018 della Corte costituzionale, evidenziando il richiamo alla decisione 6201/2014 del Consiglio di Stato. In sostanza, la Consulta ha aderito alla tesi che ritiene inapplicabili gli aumenti dopo il 26 giugno 2012, data di entrata in vigore del Dl 83/2012, che costituisce lo spartiacque tra il vecchio e il nuovo regime.

Verrebbero quindi meno dal 2013 gli aumenti deliberati in precedenza, per cui tutti gli atti di proroga anche tacita degli aumenti devono ritenersi illegittimi. In concreto si dovrebbero applicare, dal 2013 in poi, le tariffe del Dlgs 507/93 rideterminate con Dpcm del 16/2/2001, con conseguente restituzione agli aventi diritto dell’aumento sinora applicato.

Si aprirebbe quindi la strada alle istanze di rimborso, da presentare entro il termine di cinque anni dal giorno del versamento ovvero da quello in cui è stato accertato il diritto alla restituzione. I comuni dovrebbero provvedere ad effettuare il rimborso entro 180 giorni dalla data di presentazione dell’istanza.

Le conclusioni non sono tutte pacifiche, dal momento che l’illegittimità delle delibere non può trarsi automaticamente dalla sentenza della Corte Costituzionale, avendo la Consulta respinto la questione di legittimità del comma 739 della legge n. 208/2015. Solo in caso di accoglimento avremmo avuto un’efficacia vincolante.

I comuni dovrebbero pertanto forzatamente annullare in autotutela le delibere confermative. Conclusione paradossale in presenza di una norma (il comma 739 della legge n. 208/2015) che sarebbe perfettamente inutile, se interpretata nel senso di ritenere illegittimi gli aumenti disposti prima del 26 giugno 2012. A questo punto sarebbe auspicabile un nuovo intervento legislativo.

Dipartimento delle Finanze, risoluzione 2/2018

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