Imposte

Imposta di registro più bassa per la servitù su terreno agricolo

La Cassazione riconferma la linea più «morbida» rispetto all’agenzia delle Entrate

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di Adriano Pischetola


È un’antica querelle quella sulla aliquota dell’imposta di registro applicabile alla tassazione di una servitù costituita su di un terreno agricolo.
Da un lato l’amministrazione finanziaria invoca l’applicazione dell’aliquota più elevata del 15% (risoluzione 92/E del 22 giugno 2000, circolare 18/E del 29 maggio 2013, paragrafo 4.16); dall’altro la giurisprudenza di legittimità è nettamente a favore dell’applicazione di quella più modesta (già dell’8%, ora del 9% in base alla tariffa vigente). Una ulteriore conferma in questo senso deriva dalla ordinanza della sesta Sezione della Corte di Cassazione del 9 marzo 2020, n. 6672.

La tesi delle Entrate

Il dissenso nelle diverse valutazioni operate scaturisce tutto dalla lettura che viene fatta, con prospettive difformi, dei primi periodi riportati all’articolo 1 della Tariffa - All.A - Parte prima del Dpr 131/86: in un primo periodo si assoggettano all’aliquota inferiore “gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento” e in un periodo successivo a quella più elevata “il trasferimento avente ad oggetto terreni agricoli e relative pertinenze a favore di soggetti diversi dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali, iscritti nella relativa gestione previdenziale ed assistenziale” . SegQuindi l’amministrazione ritiene che alla maggiore aliquota debbano assoggettarsi anche gli atti costitutivi di diritti reali di godimento su terreni agricoli in quanto l’espressione “trasferimento” sarebbe onnicomprensiva: ci troveremmo dinanzi ad una sorte di sineddoche, in quanto il legislatore avrebbe inteso con quella espressione riferirsi anche agli atti costitutivi di diritti reali di godimento.

La giurisprudenza

Su di un versante opposto, l’interpretazione del giudice di legittimità con orientamento pressoché costante e pacifico (Cassazione, sentenze 16495/2003, 22198/2019; 22199/2019; 22200/2019; 22201/2019) e per il quale il “'trasferimento” - in quanto recante il “passaggio” di un diritto dalla sfera giuridica del disponente a favore dell’accipiente - non può sovrapporsi al concetto di atto costitutivo di un diritto reale immobiliare di godimento, segnatamente a quello di costituzione di una servitù che comporta solo una “compressione del diritto di proprietà del proprietario del fondo servente a vantaggio di un determinato fondo (dominante)”.

Una possibile interpretazione


A ben vedere, nell’uno come nell'altro dei percorsi argomentativi perseguiti (entrambi non particolarmente soddisfacenti), si valorizza soprattutto l’elemento letterale a discapito di quello intenzionale: il che è proprio quanto, forse, andrebbe verificato, oltre il mero dato letterale (ex articolo 12 disposizioni preliminari). Vale a dire, chiedersi perché mai il legislatore abbia previsto un differente trattamento normativo in relazione agli atti aventi ad oggetto un terreno agricolo. Una spiegazione potrebbe essere quella per cui solo il “trasferimento” in senso stretto, se effettuato a favore di soggetti che non risultino essere coltivatori diretti e/o imprenditori agricoli professionali, iscritti nella relativa gestione previdenziale ed assistenziale, e non già la mera costituzione di una servitù, può determinare la sottrazione del terreno alla sua naturale vocazione agricola e al relativo utilizzo in conformità, così comportando (e giustificando) un trattamento fiscale deteriore.

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