Controlli e liti

Non impugnabile l’improcedibilità dell’istanza d’interpello

di Laura Ambrosi

Il provvedimento di improcedibilità dell’istanza di interpello non è un atto impugnabile poiché non rappresenta una valutazione nel merito effettuata dall’Ufficio. Si tratta di un mero documento interlocutorio che non manifesta alcuna posizione sulla richiesta del contribuente. Ad affermarlo è la Cassazione con l’ordinanza n. 26977 depositata ieri.

Una società presentava un interpello antielusivo ai sensi della pregressa normativa (articolo 37 bis del Dpr 600/1973) per chiedere la disapplicazione della norma sulle società di comodo. L’ufficio che riceveva l’istanza la inoltrava per competenza alla direzione regionale, la quale la dichiarava improcedibile. Avverso tale provvedimento, la società proponeva ricorso dinanzi alla Ctp competente rispetto all’ufficio territoriale presso il quale era stata presentata l’istanza. L’Ufficio con la propria costituzione in giudizio rilevava anche un vizio di competenza del giudice, poiché doveva essere impugnato dinanzi alla commissione della circoscrizione della direzione regionale.

Entrambi i gradi di merito, oltre a confermare la propria competenza, accoglievano il ricorso ritenendo impugnabile il provvedimento di improcedibilità e nella specie disapplicabile la norma sulle società di comodo. L’Agenzia ricorreva in Cassazione, lamentando l’errata applicazione delle regole del processo tributario.

I giudici di legittimità hanno innanzitutto rilevato che in base all’articolo 4 del Dlgs 546/1992 la competenza delle Ctp è determinata dalla sede del soggetto nei cui confronti è proposta la controversia, e quindi generalmente dove ha sede l’ufficio che ha emesso l’atto impugnato.

Se però la controversia è proposta nei confronti di un centro di servizi o di altre articolazioni delle Entrate, la competenza si individua nella circoscrizione in cui ha sede l’ufficio al quale spettano le attribuzioni sul tributo controverso.

L’istanza di interpello presentata in applicazione della pregressa normativa era indirizzata al direttore regionale. La Cassazione ha però rilevato che trattandosi di una articolazione delle Entrate occorreva far riferimento alla competenza per territorio e quindi il giudice rispetto all’ufficio locale. Era infatti quest’ultimo a gestire il «tributo controverso».

La sentenza ha poi affrontato l’impugnabilità del provvedimento di diniego alla disapplicazione della norma antielusiva. In particolare, la Suprema Corte ha ritenuto legittimo il ricorso poiché la risposta, positiva o negativa, costituisce il primo atto con cui l’amministrazione porta a conoscenza del contribuente in via preventiva il proprio convincimento in ordine ad una specifica richiesta.

Tuttavia, nella specie si trattava di una dichiarazione di improcedibilità dell’istanza presentata dalla contribuente, con la conseguenza che secondo i giudici di legittimità non era un atto impugnabile. Non rappresentava, infatti, la posizione dell’amministrazione su una data vicenda, poiché era semplicemente un atto interlocutorio, privo di valutazioni sul merito.

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