In salvo il residente non iscritto al Vies
L’iscrizione al registro Vies è un requisito meramente formale, non indicato dalla direttiva comunitaria Iva 112/Ce tra le condizioni “sostanziali” necessarie per l’applicazione del regime di esenzione (non imponibilità) Iva proprio delle cessioni intracomunitarie. Pertanto, la mancata iscrizione non è un ostacolo per l’applicazione del regime di non imponibilità, fatti salvi i casi di frode. Sono queste le conclusioni raggiunte dalla Ctr Piemonte nella sentenza 1077/6/2017 (presidente Puccinelli, relatore Festa), che rappresenta di fatto la prima importante posizione sul tema della mancata iscrizione al Vies del soggetto passivo residente in Italia che effettua cessioni intracomunitarie. La pronuncia richiama i principi recentemente indicati dalla Corte di giustizia nella sentenza relativa alla causa C21/16-Euro Tyre (commentata sul Sole 24 Ore del 10 febbraio 2017) e arriva dopo che la Ctr Lombardia 2112/28/2015 si era già espressa in senso conforme nel caso, speculare, della mancata iscrizione al Vies della controparte comunitaria.
La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato nel 2013 ad una società di capitali italiana, con il quale l’ufficio contesta l’illegittima applicazione del regime di non imponibilità Iva su alcune cessioni di beni dalla stessa società effettuate nel corso del 2011 nei confronti di clienti intracomunitari. In particolare, l’ufficio muove la sua contestazione dopo aver rilevato l’omessa iscrizione della società nel registro Vies e in questi termini richiede la maggiore Iva su operazioni attive che – proprio in ragione della mancata iscrizione nel registro – sarebbero da considerare “nazionali”, e dunque soggette a Iva, e non “intracomunitarie”.
Il contribuente ricorre in giudizio, adducendo – oltre ad alcuni motivi preliminari di forma – la violazione del regolamento Ue, nel punto in cui non indica l’iscrizione al Vies tra i requisiti sostanziali per l’applicazione del regime di esenzione per le operazioni intracomunitarie. Con la conseguenza che la violazione commessa assume natura meramente formale, essendo stata peraltro nel frattempo già sanata dalla società, attraverso l’istituto della remissione in bonis, previsto dal Dl 16/2012.
Sulla base di queste motivazioni, i giudici di primo grado danno ragione al contribuente e condannano al rimborso delle spese l’ufficio, che tuttavia fa appello.
Resiste il contribuente, il quale richiede la conferma dei principi indicati nella sentenza di primo grado, anche perché di recente ribaditi dalla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (causa C21/16-Euro Tyre).
Proprio partendo dai principi comunitari indicati nella sentenza, i giudici di secondo grado danno nuovamente ragione al contribuente: la direttiva europea, infatti, non considera l’iscrizione al Vies un requisito sostanziale ai fini del regime di esenzione per le cessioni intracomunitarie; l’omessa iscrizione al Vies può al più rilevare solo qualora il cedente partecipi a una frode fiscale oppure qualora dalla stessa derivi l’effetto di impedire che sia fornita la prova certa della sussistenza dei requisiti sostanziali. Nel caso di specie, rilevato che l’avviso contesta solo la omessa iscrizione al Vies, e non anche un’eventuale frode da parte del contribuente né il mancato assolvimento dell’obbligo di versamento dell’Iva da parte del destinatario, la Ctr rigetta l’appello dell’ufficio, condannandolo nuovamente al rimborso delle spese.