Controlli e liti

Indagini finanziarie anche senza reddito d’impresa o lavoro autonomo

di Roberto Bianchi


L’impiego delle informazioni acquisite presso gli istituti di credito quali prove presuntive di maggiori ricavi o di operazioni imponibili, ai sensi del comma 1, n. 2, II° periodo dell’articolo 32 del Dpr 600/1973 e del comma 2, n. 2 dell’articolo 51 del Dpr 633/1972, non soggiace alla dimostrazione della circostanza che il contribuente svolga attività d’impresa o di lavoro autonomo, considerato che, qualora non venga confutata la legittimità della procedura di ottenimento delle informazioni scaturenti dai conti correnti bancari, gli stessi possono essere impiegati sia per comprovare la sussistenza di una probabile attività dissimulata, sia per quantificare il reddito dalla stessa generato, gravando sul contribuente l’incombenza di dover dimostrare che i movimenti bancari non giustificati attraverso le dichiarazioni, non risultano essere fiscalmente rilevanti (Cassazione sentenza n. 5135/2017).
A tale conclusione è giunta la sez. V della Corte di Cassazione attraverso l’ordinanza n. 28555/2017 depositata in cancelleria il 29 novembre 2017.
Un professionista ha impugnato innanzi alla Ctp un avviso d’accertamento, relativo al 2003, fondato su un pvc redatto dalla Gdf, avente a oggetto la determinazione del maggior reddito di lavoro autonomo, previa attribuzione da parte dell’ufficio della partita Iva al professionista.
La Ctp ha rigettato il ricorso con sentenza appellata dal contribuente avverso il quale si è costituita l’agenzia delle Entrate, resistendo all’impugnazione.
La Ctr ha respinto l’appello e il professionista ha proposto ricorso per Cassazione contro la suddetta sentenza avverso il quale l’amministrazione finanziaria ha resistito mediante il deposito del controricorso.
Con motivo di ricorso, il ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli articolo 1, 6 e 8 Tuir - Dpr n. 917/1986 - nonché il difetto di motivazione, in relazione al comma 1, n. 5 dell’articolo 360 C.p.c., invocando la violazione delle norme in materia di accertamento induttivo del reddito, nonché il vizio di motivazione, con specifico riferimento all’insussistenza di prove dello svolgimento di attività professionale.
A parere del Collegio di legittimità il ricorso è risultato parzialmente fondato in quanto il ricorrente ha censurato la sentenza della Ctr per non aver correttamente applicato le norme in tema di presunzioni afferenti l’accertamento induttivo di ricavi, fondato sulle movimentazioni di conti correnti bancari, lamentando pertanto l’illegittima determinazione della base imponibile.
In particolare, il contribuente ha rappresentato che l’accertamento dell’ufficio non è stato fondato sulle presunzioni afferenti ai soli versamenti, con “conseguente” inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, anche in merito ai prelevamenti.
Occorre tuttavia richiamare l’orientamento consolidato della Corte Suprema secondo il quale, in materia di accertamento, resta invariata la sedicente “presunzione legale” posta dall’articolo 32 del Dpr n. 600/1973 con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista, sicché questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti (Cass. sent. n. 1519/2017).
Nel caso di specie, la motivazione del giudice d’appello muoveva dal presupposto che il professionista ha svolto attività professionale, avendo percepito redditi da lavoro autonomo, in mancanza della dichiarazione annuale. Tale ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito, peraltro non contestata dalla difesa dell’Agenzia, ha indotto la Corte Suprema a ritenere che la Ctr non ha correttamente applicato le norme di legge in materia di accertamento induttivo afferente ai dati bancari del contribuente, in quanto la stessa non ha limitato la legittimità delle presunzioni ai soli versamenti sul conto corrente, ritenendo erroneamente che il contribuente avrebbe avuto anche l’onere di fornire giustificazioni in ordine a tutte le movimentazioni bancarie, comprensive dei prelievi.
Di conseguenza, la sentenza impugnata è stata cassata sussistendo i presupposti per la decisione nel merito, non essendo stato necessario il compimento di ulteriori accertamenti, con la conseguenza che è stata dichiarata la legittimità dell’accertamento induttivo bancario limitatamente alle sole operazioni dei singoli versamenti sui conti correnti del ricorrente.

Cassazione, ordinanza n. 28555/2017

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