Interpello disapplicativo, test sull’utilizzo delle perdite fiscali anche senza la fusione
Per il diritto al riporto l’Agenzia chiede di dimostrare che non si verifichino effetti elusivi
La casistica tipica di interpello disapplicativo è rappresentata dalle istanze volte a disapplicare le disposizioni che limitano il riporto delle perdite fiscali in caso di fusione. Ai fini della disapplicazione e quindi del riconoscimento del diritto di riporto delle perdite fiscali, il contribuente è chiamato a dimostrare che nella fattispecie concreta non possono verificarsi effetti elusivi. Nella pratica, l’agenzia delle Entrate spesso richiede di dimostrare che le perdite fiscali sarebbero state utilizzate anche dalla società singolarmente, a prescindere dalla fusione. Tale aspetto, ancorché emerga solo indirettamente dagli interpelli pubblicati in materia, è da ritenersi centrale al fine dell’ottenimento di una risposta positiva all’istanza di interpello.
L’articolo 172, comma 7, del Tuir prevede che le perdite fiscali delle società partecipanti alla fusione vengano trasferite in capo alla società incorporante o risultante dalla fusione qualora venga superato il cosiddetto test di vitalità e, in ogni caso, nel limite del patrimonio netto di ciascuna società quale risulta dall’ultimo bilancio ovvero, se inferiore, dalla situazione patrimoniale di fusione ex articolo 2501-quater del Codice civile. Inoltre, se le azioni o quote della società erano possedute dalla società incorporante o da altra società partecipante alla fusione, la perdita non è ammessa al riporto fino a concorrenza di eventuali svalutazioni di tali azioni o quote effettuate prima della fusione.
La disposizione limitativa al riporto delle perdite fiscali può essere disapplicata tramite interpello ex articolo 11, comma 2, della legge 212/2000. Ai fini della disapplicazione, il contribuente deve dimostrare che nella fattispecie concreta non possono verificarsi effetti elusivi.
Nello specifico, sulla base della prassi esistente in materia, i principali aspetti che l’Amministrazione finanziaria valorizza ai fini della disapplicazione sono:
• le società partecipanti alla fusione non devono essere ricomprese tra le cosiddette bare fiscali e il mancato superamento dei limiti di cui al citato articolo 172, non deve corrispondere ad un effettivo depotenziamento di tali società;
• l’operazione di fusione deve essere sorretta da valide ragioni extrafiscali non marginali.
Nella pratica, oltre agli aspetti sopra evidenziati, c’è un ulteriore elemento che risulta centrale al fine di ottenere una risposta positiva all’istanza d’interpello. Infatti, nonostante se ne ritrovi traccia solo indiretta negli interpelli pubblicati in materia, l’agenzia delle Entrate, sovente, richiede che la società partecipante alla fusione, avente in dote le perdite fiscali, sia in grado di dimostrare che, a prescindere dalla fusione stessa, sarebbe stata in grado di riassorbire le medesime perdite con i redditi conseguiti nei periodi d’imposta successivi. Ciò, evidentemente al fine di poter escludere alla radice che l’operazione straordinaria sia prevalentemente o esclusivamente preordinata al trasferimento delle perdite fiscali a favore della società incorporante o risultante dalla fusione.
Tale circostanza deve, quindi, indurre il contribuente a predisporre un’adeguata documentazione volta a dimostrare che le perdite sarebbero state utilizzate anche dalla società singolarmente senza ricorrere alla fusione. In tal senso, per ottenere una risposta positiva all’istanza d’interpello, un business plan, con evidenza dei redditi imponibili futuri, potrà essere considerato un idoneo strumento finalizzato a soddisfare questa frequente richiesta dell’amministrazione finanziaria.
Francesco Paolo Fabbri e Stefano Zanardi
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