Irpef, 10 anni di riforme premiano i dipendenti sotto i 30mila euro
Restano aperti i temi dell’equità orizzontale e di come realizzare il modello duale previsto dalla delega
Valutare la proposta di revisione dell’Irpef del Governo fuori dal contesto degli interventi che negli ultimi anni hanno interessato il modello di imposizione sui redditi delle persone fisiche rischia di condurre a conclusioni approssimative. Basti pensare, ad esempio, che la sola introduzione nel 2014 del bonus 80 euro a favore dei lavoratori dipendenti con redditi fino a 26mila euro richiese l’impegno di risorse finanziarie superiori a quelle attualmente stanziate per la revisione di scaglioni, aliquote e detrazioni Irpef. Senza considerare, peraltro, gli ulteriori interventi, sempre a favore dei lavoratori dipendenti, realizzati prima dal governo Gentiloni e poi dal governo Conte bis.
In sintesi, quindi, se i precedenti più recenti avevano premiato i lavoratori dipendenti con redditi bassi e medio bassi, i maggiori beneficiari del primo atto della nuova riforma fiscale sono i contribuenti (dipendenti, pensionati e autonomi) con redditi tra 40mila e 50mila euro.
Se si vuole comprendere la portata delle correzioni che saranno realizzate dal 2022, tuttavia, appare assai riduttivo circoscrivere l’esame ai soli risparmi d’imposta, per classi di reddito dei contribuenti, generati dalla manovra. Questo procedimento, infatti, ha il limite di decontestualizzare l’analisi da almeno tre fatti di cui non si può non tenere conto, ovvero:
i precedenti interventi di riduzione del carico impositivo Irpef;
l’attuale struttura dell’imposta;
più in generale, il modello di imposizione sui redditi delle persone fisiche, anche alla luce del riferimento al modello duale contenuto nel disegno di legge delega per la riforma fiscale.
Andiamo, allora, con ordine. Se si prendono in esame gli ultimi dieci anni (2012-2022), emerge come i maggiori beneficiari del taglio dell’Irpef rimangano i lavoratori dipendenti con redditi bassi e medio bassi.
Infatti, rispetto a dieci anni fa, un lavoratore dipendente a 10mila euro di reddito ha ottenuto l’azzeramento dell’imposta, a 20mila gode di un taglio del 43,30%, che diventa del 17,72% a 30mila euro, del 8,95% a 40mila, del 4,97% a 50mila, del 1,06% a 75mila. Analoghe considerazioni, seppur con valori estremamente più contenuti e con un andamento meno regolare, possono essere svolte in relazione ai pensionati e agli autonomi.
La lettura di questi dati facilita una ulteriore considerazione: se la decisione di intervenire sul secondo e terzo scaglione centra l’obiettivo di rendere più armonica la crescita della curva di progressività per i contribuenti della classe media, permangono (anzi, in alcuni casi risultano accentuate) le disuguaglianze, in termini di equità orizzontale, tra dipendenti, pensionati e autonomi. Tant’è che, ad esempio, nell’arco temporale considerato il taglio delle imposte di cui hanno beneficiato i dipendenti a 20mila euro di reddito risulta circa otto volte quello dei pensionati e circa 15 volte quello degli autonomi. Per questi ultimi, tuttavia, non va dimenticata la tassazione fuori dall’Irpef, cioè quella forfettaria estremamente distorsiva, sulla quale si dovrà decidere, se si vuole centrare l’obiettivo delineato dalla legge delega. Il tema dell’equità orizzontale dovrà essere posto quale primo obiettivo dei prossimi passi della revisione dell’Irpef, considerato che il diverso trattamento fiscale dei redditi di lavoro appare poco compatibile con il modello duale individuato dall’articolo 2 del disegno di legge delega per la riforma fiscale.