Istruzione universitaria, spese detraibili anche se pagate con la «carta docente»
Il costo «rimane a carico» del contribuente. Il principio vale quindi in tutti i casi in cui il contributo pubblico non finanzia una specifica spesa, ma una categoria di acquisti tra cui scegliere
Spese di istruzione universitaria detraibili anche se pagate, in tutto o in parte, con la «carta docente». Quando si utilizza un contributo pubblico per pagare, la spesa può essere considerata «effettivamente rimasta a carico» del contribuente? Il quesito è stato sollevato da un’ascoltatrice della trasmissione Due di denari di Radio24, condotta da Mauro Meazza e Debora Rosciani.
Il principio generale (stabilito espressamente dagli articoli 10 e 15 del Tuir) è che la deduzione spetta solo se gli oneri e le spese sono «effettivamente rimasti a carico» di chi li ha sostenuti. Pertanto la deduzione o la detrazione non spettano se le spese vengono rimborsate; se il rimborso è inferiore alla spesa, la deduzione o detrazione si calcola solo sulla eccedenza non rimborsata (si veda la circolare 7/E del 25 giugno 2021, nonché l’articolo «Precompilata, al via modifiche e invii: il rimborso nell'anno taglia la spesa detraibile»).
Un contributo pubblico è assimilabile a un vero e proprio rimborso della spesa? Per rispondere bisogna indagare la natura e la tipologia di contributo. È pacifico che, se il contributo è erogato in base alla specifica spesa, va considerato a tutti gli effetti un rimborso. Ma se il sostegno economico ha carattere più ampio, la questione cambia.
La «Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione dei docenti» (cosiddetta «carta docenti») fu introdotta dalla legge 107/2016 («Buona scuola») e, secondo la definizione data dal Consiglio di Stato, è « una mera modalità di erogazione della formazione (in particolare si tratta di auto formazione)» (Consiglio di Stato 1842/2022).
Il Dpcm 28 novembre 2016 stabilisce che la Carta è un’applicazione web, a cui si accede con Spid, che emette buoni elettronici di spesa spendibili su alcuni beni o servizi (il funzionamento è analogo a quello del «bonus cultura»).
Con i buoni di spesa si possono acquistare i beni e servizi elencati dall’articolo 6 del Dpcm: libri e pubblicazioni anche digitali; hardware e software; corsi di aggiornamento e qualificazione professionali; corsi di laurea, di formazione post lauream o master universitari, purché inerenti al profilo professionale; biglietti per teatro, cinema, musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo; altre iniziative coerenti con le attività previste dal piano dell’offerta formativa delle scuole e del Piano nazionale di formazione.
È l’interessato che sceglie come spendere i buoni, decidendo liberamente di utilizzarli per uno o più dei beni e servizi ammessi. L’utilizzo di questo potere di acquisto che, seppure non illimitato, può essere impiegato per una ampia gamma di beni e servizi costituisce, sul piano economico, un vero e proprio consumo di risorse personali: usando la carta per pagare un corso universitario si rinuncia ad acquistare qualche altro bene (ad esempio un concerto). La spesa, pertanto, «rimane a carico» del contribuente.
La conclusione ha carattere generale e vale in tutti i casi in cui il contributo pubblico non finanzia una specifica spesa, ma una più o meno ampia categoria di acquisti tra i quali scegliere. Il principio vale quindi per eventuali oneri detraibili o deducibili pagati con altri contributi, come ad esempio l’iscrizione a scuole musicali fatta con il bonus cultura, o l’acquisto di farmaci e prodotti sanitari con i buoni-Covid (si veda l’articolo di Nt+ Fisco). Analogamente, la percezione dell’indennità di accompagnamento per invalidi civili (legge 388/2000) non fa perdere il diritto a detrarre le spese per i mezzi di accompagnamento e deambulazione, per il trasporto in autoambulanza o per l’acquisto e noleggio di poltrone e carrozzelle.