Imposte

Iva, cessioni all'export non imponibili senza decadenza

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di Paolo Centore

La non imponibilità delle cessioni all'esportazione, con trasporto a cura del cessionario, deve essere riconosciuta anche dopo il termine dei 90 giorni dalla consegna, previsto dall'attuale disposizione nazionale.
È questo il senso della contestazione mossa dalla Commissione europea al governo italiano, in riferimento all'articolo 8, comma 1, lettera b) del Dpr 633/72, secondo cui il regime di non imponibilità è ammesso sotto la condizione che l'esportazione avvenga nel termine sopra indicato. Con la conseguenza che il cedente deve provvedere alla regolarizzazione, mediante applicazione dell'imposta entro i trenta giorni successivi alla scadenza, al fine di evitare la sanzione prevista dall'articolo 7, comma 1 del decreto legislativo 471/97, in misura del 50% sino al 100% dell'imposta relativa.
La Commissione ha attivato la denuncia utilizzando la procedura Eu Pilot, il canale di dialogo per trovare una veloce soluzione ai problemi sull'applicazione del diritto unionale, prima dell'avvio della procedura d'infrazione. La Commissione ritiene che la norma nazionale sia in contrasto con l'articolo 146, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2006/112/Ce, secondo cui: «Gli Stati membri esentano le operazioni seguenti: le cessioni di beni spediti o trasportati da un acquirente non stabilito nel loro rispettivo territorio, o per conto del medesimo fuori della Comunità». Come si vede, questa la norma non prevede un termine perentorio entro il quale l'esportazione debba essere eseguita. Sicché in assenza di specifica previsione, la Commissione ritiene che gli effetti della norma italiana, destinati a travolgere il regime di non imponibilità sin dall'origine, quale conseguenza della mancata esportazione in termini, eccedano le facoltà concesse dall'articolo 131 della direttiva, ove si precisa che gli Stati membri possono stabilire le condizioni di applicazione delle esenzioni. La Commissione richiama, inoltre, l'intervento della Corte di giustizia nel caso C-563/12 Bdv Hungary Trading (sentenza del 19 dicembre 2013). La Corte ha stabilito che «una normativa nazionale (...) che assoggetta l'esenzione all'esportazione a un termine di uscita, con l'obiettivo, in particolare, di lottare contro l'elusione e l'evasione fiscale, senza per questo consentire al soggetto passivo di dimostrare, al fine di beneficiare di tale esenzione, che la condizione di uscita è stata soddisfatta dopo lo scadere di tale termine, e senza prevedere un diritto del soggetto passivo al rimborso dell'Iva già corrisposta in ragione del non rispetto del termine, qualora fornisca la prova che la merce ha lasciato il territorio doganale dell'Unione, eccede quanto necessario per il conseguimento di detto obiettivo».
Dunque, il mancato rispetto dei 90 giorni non può travolgere la natura dell'operazione, nel caso in cui i beni siano successivamente esportati. L'apposizione di un termine ha senso, considerando che è «consentito agli Stati membri stabilire un termine ragionevole per le esportazioni, che tenga conto delle pratiche commerciali nell'ambito delle esportazioni negli Stati terzi, al fine di verificare se un bene oggetto di una cessione all'esportazione sia effettivamente uscito dall'Unione» (sentenza C-563/12, punto 34). Ed allora, la soluzione, per tutelare l'Erario e per conformare la nostra legge ai principi della direttiva è tutto sommato semplice: è sufficiente che l'Agenzia, una volta pretesa l'applicazione dell'imposta al decorso del termine, cioè, dopo i 90 giorni, riconosca all'operatore il diritto di procedere al suo recupero, mediante emissione di nota di variazione ex articolo 26, comma 2 del Dpr 633.

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