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Iva, direttiva aliquote verso il regime definitivo

La logica della nuova norma europea è la stessa vigente dall'introduzione dell'Iva: limitare le aliquote ridotte a una scelta tra i beni e i servizi indicati in un allegato alla direttiva

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di Raffaele Rizzardi

Le regole europee sul regime definitivo degli scambi intraunionali di beni tra soggetti d'imposta avevano formato oggetto di tre proposte di direttiva del 18 gennaio 2018:
• Com (2018)020 – Aliquote Iva;
• Com (2018)021 – Semplificazioni per le piccole e medie imprese (nozione che a livello europeo comprende il lavoro autonomo);
• Com (2018)329 – Assoggettamento all'imposta del Paese di destinazione dei beni.

Questi documenti ne prevedevano l’entrata in vigore dal 1° luglio 2022. Complice la pandemia, e non solo, l'asticella è attualmente spostata al 1° gennaio 2025, data che risulta dalle due direttive già formalizzate in termini normativi:

• (Ue) 2020/285 del 18 febbraio 2020 – semplificazioni Pmi;

• (Ue )2022/542 del 5 aprile 2022 – aliquote Iva.

Manca all’appello la direttiva più importante, in base alla quale ogni soggetto d’imposta riceverà dall’estero fatture con la propria Iva, che potrà portare direttamente in detrazione.

Introduzione della fattura elettronica europea

A nostro avviso lo sblocco di questo big bang dopo l’abolizione delle dogane interne il 1° gennaio 1993, può venire solo con l’introduzione della fattura elettronica europea, con un sistema di interscambio, non necessariamente unificato a livello europeo, ma nel quale ogni amministrazione finanziaria possa controllare che l’Iva estera addebitata al destinatario della spedizione sia effettivamente liquidata a debito e conseguentemente versata in uno specifico sistema Oss, One Stop Shop, attualmente esistente per le vendite ai privati con spedizione a cura del venditore, ma difficilmente controllabile.

Facciamo un esempio per chiarire questa impostazione: un’impresa italiana cliente riceve merce dalla Bulgaria. Attualmente pone in essere un acquisto intraunionale (articolo 38 del Dl 331/1993), cui consegue l’assolvimento del tributo in reverse charge con il contemporaneo diritto di detrazione. Il fornitore ha eseguito una cessione non imponibile ed è a suo carico la prova che la merce abbia lasciato il Paese da cui viene spedita.

Nel regime definitivo il fornitore farà una cessione imponibile, ma con l’Iva del Paese di destinazione. Senza fattura elettronica, il cliente come può essere sicuro che in futuro non gli verrà contestata la detrazione, in quanto il fornitore ha emesso un pezzo di carta (tale è anche il Pdf) e poi non ha dato seguito ai suoi obblighi?

Direttiva aliquote

Torniamo alla direttiva sulle aliquote, e vediamo quali sono i vincoli e le opportunità. Dobbiamo prima rispondere a un quesito: come si fa a parlare di armonizzazione, se le aliquote ordinarie spaziano dal 17% del Lussemburgo al 27% dell’Ungheria? Il nuovo atto europeo introduce parecchie regole "emulative", in base alle quali ogni Stato potrà fare riferimento a quello che fanno altri per le aliquote ridotte, ma – come vedremo – restano dei vincoli stringenti, che devono essere comunque rispettati.

La direttiva sulle aliquote è sicuramente prodromica al regime definitivo, quando ogni impresa in regime B2B con l’estero deve agire con le aliquote di un altro Paese. Le disposizioni al riguardo non sembrano però determinanti: il riscritto articolo 98 della direttiva 2006/112/Ce (il testo unico dell’Iva europea) dispone che nell’applicare le aliquote ridotte e le esenzioni, gli Stati membri "possono" far ricorso alla nomenclatura combinata o alla classificazione statistica dei prodotti associata alle attività, o a entrambe, per delimitare con precisione la categoria in questione. Nelle tabelle delle aliquote ridotte allegate alla nostra legge Iva siamo ancora fermi alle voci doganali del 1972, quando da parecchi decenni si opera con la nomenclatura comune del diritto doganale europeo. Da qui al 2025 speriamo che si proceda alla riscrittura della legge Iva, dovendo anche recepire queste direttive.

La logica della nuova norma europea è la stessa vigente dall’introduzione dell’Iva, cioè quella di limitare le aliquote ridotte a una scelta tra i beni e i servizi indicati in un allegato alla direttiva.

La proposta del 2018 era sicuramente più semplice, in quanto ribaltava la sistematica, affidando a una tabella la lista negativa di cosa non poteva essere ad aliquota ridotta.

Il nuovo allegato alla direttiva continua a prevedere beni e servizi per i quali si può concedere l’aliquota ridotta, ma con due vincoli specifici:

• ogni Stato può scegliere non più di 24 voci dell’allegato (che ne comprende 30);

• tra queste non più di sette possono avere un’aliquota inferiore al 5% o un’esenzione con diritto a detrazione.

Nel nostro ordinamento quest’ultima ipotesi, che si può tranquillamente chiamare «aliquota zero», è una disposizione transitoria, ora vigente sino alla fine di quest’anno, per beni e servizi connessi all’emergenza Covid-19.

Possiamo vedere alcune significative misure relative alla transizione ecologica nella produzione di energia:

• l’aliquota ridotta per la cessione e installazione di pannelli solari su abitazioni private ed edifici pubblici, nonché per l’energia prodotta da fonti rinnovabili e gli impianti di riscaldamento ad alta efficienza energetica e a basse emissioni;

• la rimozione, dal 2030, dell’aliquota ridotta sui combustibili fossili e su quelli produttivi di gas a effetto serra, come la torba e la legna da ardere.

Oltre all’entrata in vigore fra poco meno di tre anni, alcune disposizioni transitorie vanno addirittura al 2032 o al 2042, ma già il 7 luglio 2022 gli Stati dovranno comunicare al Comitato Iva dell’Unione europea le situazioni in cui vengono applicate aliquote ridotte inferiori al 5%, con particolare riferimento alle operazioni relative all’edilizia abitativa che non rientrano nella politica sociale. Sarà interessante vedere come verrà qualificata la nostra aliquota "prima casa" del 4%, che è di politica sociale perché consente per una sola volta l’accesso alla proprietà dell’abitazione, ma che non lo è dal punto di vista del reddito dell’acquirente, che non è mai stato preso in considerazione nel nostro ordinamento.

A proposito di edilizia è interessante la nuova suddivisione delle voci delle aliquote ridotte. Il tuttora vigente allegato alla direttiva 2006/112/Ce pone la condizione che la politica sociale sia la guida non solo per la costruzione e la vendita dell’abitazione, ma anche per i lavori di manutenzione e ristrutturazione. Tanto che la Corte di giustizia aveva condannato la Gran Bretagna per aver concesso l’aliquota ridotta agli interventi di risparmio energetico, non inquadrabili in una politica sociale. Con la nuova tabella solo costruzione e vendita devono avvenire in questo contesto, mentre gli interventi successivi saranno agevolati per il solo fatto di avere a oggetto immobili abitativi.

Verrà anche superato il vincolo di prevalenza dei beni e dei servizi diversi da quelli significativi, da noi in vigore con l’articolo 7 della legge 488/1999, e il relativo regolamento di attuazione, il Dm 29 dicembre dello stesso anno.

Questo vincolo era stato introdotto con la direttiva 1999/85 del 22 ottobre 1999, nota come direttiva per la riduzione delle aliquote sulle prestazioni ad alta intensità di lavoro. Questa norma europea era stata adottata in via temporanea, per tre anni, incaricando la Commissione di riferire al Parlamento europeo gli effetti benefici della riduzione di aliquota in settori che, in assenza di costi significativi, sono maggiormente debitori dell’imposta che – teoricamente – devono trasferire sui clienti nel prezzo della prestazione (ovviamente se correttamente assoggettata a Iva). Nessuno è stato in grado di quantificare questi vantaggi, e la norma si è stratificata nel tempo, diventando permanente.

La motivazione si trova nei "considerando" e nell’articolo 1 della direttiva, di cui sintetizziamo i passaggi più significativi:

1. l’aliquota Iva ridotta è in grado di ridurre l’interesse delle imprese a entrare nell’economia sommersa o a restarvi;

2. può originare una stretta connessione tra i prezzi minori risultanti dalla riduzione dell’aliquota e il prevedibile aumento della domanda e dell’occupazione.

Tenendo conto che tra le cinque possibili categorie di questa direttiva ci sono i parrucchieri (da noi non presi in considerazione), queste disposizioni possono essere lette nel seguente iter logico:

• se i parrucchieri pagheranno l’Iva ridotta diminuiranno i prezzi al pubblico (chi ha visto questo effetto quando i parrucchieri sono andati addirittura a zero con l’adesione al regime forfetario?);

• se i parrucchieri riducono i prezzi, la gente andrà più spesso da questi soggetti per usufruire dei loro servizi (ma non è il caso classico di domanda anelastica, quasi totalmente indifferente al livello dei prezzi?) – «prevedibile aumento della domanda»;

• con l’aumento della loro attività i parrucchieri dovranno assumere - prevedibile aumento dell’occupazione, per contrastare il grave problema della disoccupazione.

Risulta evidente che queste innovazioni del 1999 non hanno avuto questi effetti mirabolanti, ma per lo meno possiamo sorridere pensando che queste strane considerazioni fanno parte di una direttiva pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea.

Questo articolo fa parte del Modulo24 Iva del Gruppo 24 Ore.

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