I temi di NT+Modulo 24

Iva fatturata in eccesso, maxi sanzioni fuori rotta con la giurisprudenza Ue

Un punto di convergenza potrebbe essere costituito dalla sentenza 2270/1/2021 della Ctr Lombardia

di Marco Magrini

Il dibattito sulla tesi proposta nel Principio di interpretazione n. 2 – Iva fatturata in eccesso e detrazione, elaborato dal Comitato scientifico del Modulo 24 Iva, è stato ulteriormente alimentato da interventi interpretativi e di prassi di segno opposto.

Il principio ha introdotto la massima per cui nei casi di errata fatturazione, con applicazione dell'Iva in misura superiore a quella dovuta, comunque assolta dal cedente/prestatore, al di fuori delle ipotesi di frode, rimane fermo il diritto del cessionario/committente alla detrazione dell'imposta.

A carico del cessionario/committente si applicherà solo la sanzione fissa compresa fra 250 e 10.000 euro prevista dall'articolo 6, comma 6, Dlgs 471/1997.

La situazione di «applicazione dell'imposta in misura superiore a quella dovuta» deve intendersi riferita non solo ai casi in cui l'errore consiste nell'applicare un'aliquota Iva superiore a quella dovuta, ma anche a tutti quei casi in cui è stata assoggettata a imposta un'operazione per la quale l'Iva non doveva essere applicata, in quanto esente, non imponibile o fuori campo.

In riferimento a tali fattispecie, se l'imposta indicata in fattura è stata assolta dall'emittente, anche se impropriamente, fermo che la circostanza non si inserisca in un fenomeno di frode, il destinatario della fattura deve poter operare la detrazione ai sensi dell'articolo 19 Dpr 633/1972.

Una differente interpretazione della portata e applicabilità dell'articolo 6, comma 6, Dlgs 471/1997, consistente nel disconoscimento del diritto alla detrazione e nell'irrogazione di una sanzione proporzionale, non sarebbe conforme all'orientamento dei giudici europei oltre a essere lesiva dei principi di neutralità, proporzionalità ed effettività che regolamentano il meccanismo di funzionamento dell'imposta. Tali considerazioni conclusive non possono valere soltanto se si è in un contesto di frode fiscale.

Il dibattito da un lato, ha visto la posizione espressa dall'Aidc con la Norma di comportamento n. 214, che si è completamente allineata al menzionato Principio di interpretazione n. 2. Vi si afferma che il diritto alla detrazione compete al cessionario/committente laddove l'operazione sia stata erroneamente assoggettata a Iva pur rientrando, oggettivamente, in un trattamento di esclusione, non imponibilità o esenzione da Iva. Non viene così limitato l'esercizio del diritto alla detrazione al caso dell'operazione comunque imponibile sulla quale è stata erroneamente applicata una imposta in misura eccedente a causa dell'errata aliquota superiore rispetto a quella effettivamente applicabile per la fattispecie (cessione di beni o prestazione di servizi che trattasi).

Dal lato opposto l'intervento della risoluzione dell'agenzia delle Entrate 51/E del 3 agosto 2021 ha invece confermato la tesi restrittiva della giurisprudenza della Corte di Cassazione (sentenze del 3 novembre 2020, n. 24289 e del 21 aprile 2021, n. 10439), in merito all'ambito applicativo dell'articolo 6, comma 6, del D.lgs. 471/1997, come riformulato dall'articolo 1, comma 935, della legge 205/2017 (legge di Bilancio 2018).

Il documento di prassi porta a distinguere due tipologie di condotte illecite, con corrispondente applicabilità di distinte sanzioni, fissa o proporzionale.

La sanzione fissa, compresa fra 250 euro e 10.000 euro, è irrogabile a carico del cessionario/committente in caso di applicazione dell'Iva in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente/prestatore, fermo restando il diritto dello stesso cessionario/committente alla detrazione della medesima. La sanzione proporzionale, pari al 90% dell'ammontare della detrazione illegittimamente compiuta dal cessionario/committente, è irrogabile negli altri casi in cui l'imposta è stata assolta, dovuta o addebitatagli in via di rivalsa.

La sanzione in misura fissa non troverebbe applicabilità nella circostanza in cui il cessionario/committente abbia pagato al cedente/prestatore l'Iva non applicabile all'operazione e in misura corrispondente lo stesso cessionario/committente si sia avvalso della detrazione della stessa Iva (nella misura risultante dalla fattura e pagata al fornitore).

La detrazione dell'Iva addebitata per errore in fattura (anche se percepita dall'erario), non sarebbe ammissibile e in riferimento a tale ammontare dovrebbe essere comunque irrogata la sanzione proporzionale del 90% e l'imposta indebita relativa recuperata dal fisco.

Nel Principio di interpretazione n. 2 questo tipo di approccio era stato già fortemente criticato per inidoneità rispetto all'orientamento contenuto nella direttiva comunitaria e ricavabile dall'esame delle conclusioni delle sentenze della Corte di Giustizia Ue. In tal modo si viene infatti a determinare, in assenza di una situazione di frode, una penalizzazione a carico dei contribuenti che appare ingiustificata e incoerente rispetto alla ratio della norma, a prescindere da una interpretazione letterale che non parrebbe avere motivazioni sufficienti.

Quindi il divario interpretativo esistente fra, da un lato, l'orientamento indicato dalla Corte di Giustizia Ue (sentenze C-48/20 del 18 marzo 2021 e C-935/19 del 15 aprile 2021) e ripreso dall'analisi del citato Principio interpretativo n. 2 , nonché riaffermato dall'Aidc con la recente Norma di comportamento n. 214 e, dall'altro lato, l'approccio dell'agenzia delle Entrate sulla scorta delle indicazioni della Corte di Cassazione, sembrerebbe in una fase di stallo difficilmente superabile.

Occorre verificare se la breccia aperta dalla sentenza n. 2270/1/2021 della prima sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che riconosce la portata generale della sanzione fissa e ammette la detraibilità dell'Iva anche se addebitata in luogo del trattamento di esenzione, potrà avviare il percorso giurisprudenziale che possa portare la Corte di Cassazione, medio tempore, a rivedere le proprie attuali conclusioni.

Questa lettura sarebbe auspicabile se non altro per la vastissima casistica in cui può trovare applicazione, in presenza di errori dei contribuenti nell'applicare un regime Iva con imposta superiore rispetto al dovuto, in presenza di situazioni dove questa erroneità non è immediatamente valutabile dal cessionario in ragione della peculiarità di alcuni regimi che richiedono la conoscenza di numerosi fattori ed elementi di qualificazione.

La posizione, peraltro segnalata fra gli interventi della giurisprudenza interna nel contenuto del Principio d'interpretazione n. 2/2021, prende chiaro spunto e si basa sulla sentenza C-935/19 del 15 aprile 2021 della Corte di Giustizia UE. Il pronunciamento ha affermato l'incompatibilità, rispetto all'articolo 273 della Direttiva 2006/112/CE, della norma nazionale quando pone a carico di un soggetto passivo, che abbia erroneamente qualificato un'operazione esente dall'Iva come operazione soggetta a tale imposta, una sanzione pari al 20% dell'importo dell'Iva indebitamente reclamato senza operare differenziazioni. L'incompatibilità emerge nella circostanza in cui tale sanzione si applica indifferentemente a una situazione in cui l'irregolarità risulta da un errore di valutazione dell'operazione, commesso dalle parti, quanto alla natura imponibile di quest'ultima e a una situazione in cui non sussistano simili circostanze, in una situazione caratterizzata dall'assenza di indizi di frode e di perdite di gettito fiscale per l'Erario.

Il caso esaminato dalla Commissione Tributaria Regionale era relativo a un avviso di accertamento per illegittima detrazione Iva, in presunta violazione dell'articolo 19 del Dpr 633/1972, addebitata dal prestatore in correlazione a prestazioni di formazione professionale ritenute dall'agenzia delle Entrate esenti ai sensi dell'articolo 10, comma 1, n. 20 dello stesso decreto Iva.

La sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Milano (n. 860/2020), favorevole alla società contribuente, aveva ritenuto che alle prestazioni oggetto di accertamento non si potesse applicare l'esenzione Iva (per carenza di dimostrazione del requisito soggettivo e oggettivo richiesto dalla norma di esenzione) e fosse corretto il regime di imponibilità e dovesse pertanto essere consentita la detrazione dell'imposta alla società ricorrente con conseguente infondatezza del disconoscimento del diritto operato con l'accertamento.

La sentenza era stata appellata dall'agenzia delle Entrate e nel corso dell'appello la Commissione Tributaria Regionale aveva ribaltato il giudizio di primo grado, confermando invece l'applicabilità alle suddette prestazioni del regime di esenzione Iva di cui all'articolo 10, numero 20 del Dpr 633/1972, giudicando così errato l'addebito dell'Iva e la fatturazione in regime di imponibilità. I giudici, tuttavia, ai fini del ricalcolo del dovuto a carico della ricorrente, in relazione all'avviso di accertamento oggetto della contesa, non hanno ritenuto di accogliere le tesi dell'agenzia dell'Entrate che tendevano a confermare l'applicabilità dell'articolo 6, comma 6, del Dlgs 471/1997 (nella formulazione conseguente alla novella del 2017), quando la norma citata consente di mantenere il diritto alla detrazione con irrogazione delle sole sanzioni solo nel caso di operazioni effettivamente soggette a Iva a cui sia stata applicata l'imposta in misura superiore al dovuto.

La Commissione invece ha ritenuto di dover assumere e fare proprie le conclusioni della Corte di Giustizia Ue nella causa C-935/19 dove ha affermato il principio di diritto secondo cui deve ritenersi illegittima l'applicazione automatica di sanzioni proporzionali per il cessionario che detrae l'Iva erroneamente applicata su un'operazione esente nel caso in cui vi sia assenza di indizi di frode e non sussista alcuna perdita di gettito fiscale; e ciò in ragione dei principi generali di neutralità dell'Iva e di proporzionalità delle sanzioni in rapporto all'obiettivo pubblicistico di assicurare l'esatta riscossione dell'imposta ed evitare l'evasione.

La pronuncia della Corte di Giustizia è risultata direttamente e immediatamente applicabile al caso del contenzioso. La sentenza ha annullato la ripresa erariale relativa alla detrazione Iva e alle sanzioni calcolate in misura proporzionale con conseguente assoggettamento della fattispecie alla sola sanzione in misura fissa prevista dall'articolo 6, comma 6, del Dlgs 471/1997 nel testo novellato dalla legge 205/2017, applicabile nei termini delineati dalla pronuncia della Corte di Giustizia.

Questo articolo fa parte del Modulo24 Iva del Gruppo 24 Ore.
Leggi gli altri articoli degli autori del Comitato scientifico e scopri i dettagli di Modulo24