I temi di NT+Modulo 24

Iva fatturata erroneamente, si apre la strada per il rimborso

Secondo la Corte di giustizia il rimborso è possibile qualora sussista una situazione di estrema difficoltà di recupero dell'Iva in capo al prestatore

di Matteo Dellapina

È possibile richiedere il rimborso dell’Iva all’erario qualora sia stata erroneamente indicata in fattura a condizione che risulti impossibile o eccessivamente difficile recuperare tale somma presso l’emittente.

Dai giudici unionali giunge una sentenza (Corte di giustizia, Humda, C-397/21 del 13 ottobre 2022) di particolare interesse relativa alla possibilità di ottenere il rimborso dell’Iva dall’Erario se l’emittente la fattura abbia indicato erroneamente l’imposta sul documento fiscale, a condizione che risulti impossibile o eccessivamente difficile poter recuperare tale somma presso l’emittente stesso (si veda anche il precedente articolo «Richiesta di rimborso dell'Iva versata per errore se il recupero dal prestatore è complesso»).

Infatti, fermo restando il "canale" di recupero civilistico, tale rimedio è possibile qualora sussista una situazione di estrema difficoltà al recupero in capo al prestatore, ossia se costui si trovi in una situazione di messa in liquidazione che non permetta di "riprendersi" l’importo pagato a titolo di Iva.

In buona sostanza, se in una fattura l’emittente ha erroneamente indicato l’Iva (invece di non applicarla perché l’operazione era esente), si accenderà la "luce verde" per ottenere il rimborso dell’imposta direttamente presso il Fisco qualora non sia possibile andare a recuperare tale somma, in via civilistica, presso il prestatore.

Secondo l’articolo 203 della direttiva Iva 2006/112/Ce «chiunque indichi l’Iva in una fattura è debitore dell’imposta indicata in tale fattura». Quindi emerge che la semplice esposizione dell’Iva in fattura comporta la debenza della stessa.

Anche la Corte di Giustizia, nel caso EN.SA. (C-712/17, sentenza dell’8 maggio 2019), ha posto l’attenzione su tale aspetto, sottolineando come l’Iva indicata in fattura sia dovuta dall’emittente del documento fiscale, addirittura anche in assenza di qualsiasi operazione imponibile reale. Così per i giudici unionali, la debenza dell’imposta non richiede neppure il concretizzarsi di un’operazione imponibile: è sufficiente indicare l’Iva in fattura affinché questa sia dovuta all’erario, non essendo necessario che si configuri un’operazione reale imponibile ( Carte Carburante, C-48/20, sentenza del 18 marzo 2021).

Infatti la norma suesposta mirerebbe a eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale che possa derivare dal diritto alla detrazione previsto dalla direttiva Iva (Cgue, Rusedespred, C-138/12, sentenza dell’11 aprile 2013). Ma se l’Iva sia stata indebitamente fatturata, l’imposta è sempre dovuta (per i principi ricordati sopra) oppure è possibile regolarizzare il documento fiscale?

Quanto alla possibilità di regolarizzare la fattura, a livello unionale, non è presente alcuna disciplina normativa specifica all’interno della direttiva Iva 2006/112/Ce che permetta ciò. Ecco quindi che spetterà ai vari e singoli Stati membri accollarsi tale "onere" e provvedere loro stessi (Cgue, Reemtsma Cigarettenfabriken, C-35/05, sentenza del 15 marzo 2007; Terracult, C-835/18, sentenza del 2 luglio 2020).

Così, al fine di garantire la perfetta e completa neutralità Iva, spetterà ai vari e singoli Stati Ue prevedere, nel proprio ordinamento giuridico interno, la possibilità di rettificare ogni imposta indebitamente fatturata, a condizione che l’emittente la fattura dimostri la propria buona fede.

Quindi la risposta è affermativa, ossia si può procedere alla rettifica ma si dovrà osservare la disposizione interna dello Stato Ue.

Restando sempre nel panorama unionale, la Corte di Giustizia (Reemtsma Cigarettenfabriken, C-35/05) ha sottolineato come una normativa nazionale in base a cui, da un lato, il prestatore che abbia versato erroneamente l’Iva alle autorità tributarie sia legittimato a chiederne il rimborso e, dall’altro, il destinatario dei servizi possa esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito contro tale prestatore, rispetta i principi di neutralità dell’Iva e di effettività. Infatti, tale sistema consente al destinatario gravato dell’Iva erroneamente fatturata di ottenere il rimborso delle somme indebitamente versate.

Questo è un punto assolutamente nevralgico: in caso di Iva erroneamente fatturata, si potrà (sempre) presentare istanza di rimborso?

Ecco qui è doverosa una precisazione. Infatti non sempre si potrà richiedere il rimborso Iva. Qualora esso risulti impossibile o eccessivamente difficile, per esempio in caso di insolvenza del prestatore, i principi di neutralità dell’Iva e di effettività impongono ai vari Stati membri di prevedere degli strumenti necessari per consentire al destinatario il recupero dell’Iva indebitamente fatturata e pagata, in particolare inviando la sua domanda di rimborso direttamente all’amministrazione tributaria (Reemtsma Cigarettenfabriken, C-35/05).

In buona sostanza, secondo la visione della Corte di giustizia, i vari Stati, all’interno della normativa nazionale, devono prevedere un “binario" alternativo: se il rimborso non può essere esperito dovrà essere disponibile per il contribuente un piano "b" che possa consentirgli di recuperare l’imposta indebitamente fatturata (tutto ciò per garantire e rispettare il principio di effettività).

Al contempo i giudici unionali, nella nota vicenda Terracult (C-835/18), hanno posto l’accento su un aspetto di non poco conto: la normativa nazionale di uno Stato Ue non può negare a un contribuente il diritto al rimborso dell’Iva erroneamente fatturata e indebitamente versata, in caso di (dimostrata) negligenza del soggetto passivo.

Ecco qui la Corte ha voluto riportare all’attenzione il delicato ma centrale tema della neutralità dell’Iva, rammentando come un diniego assoluto del rimborso dell’imposta andrebbe a minare tale principio, concretizzandosi così in una sanzione assai sproporzionata. Infatti i singoli Stati membri devono ricorrere a mezzi che, pur consentendo di raggiungere efficacemente l’obiettivo perseguito dalla normativa nazionale, pregiudichino il meno possibile i principi di matrice unionale (tra cui spicca quello di neutralità dell’Iva).

Al contempo però, è bene rammentarlo, che la lotta contro la frode, l’evasione fiscale e gli eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva Iva 2006/112/Ce. Del pari, la Corte ha varie volte dichiarato come i singoli non possano avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto Ue. Così sarà compito delle autorità e dei giudici nazionali negare il beneficio del diritto al rimborso dell’Iva indebitamente fatturata o assolta ove sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che tale diritto venga invocato fraudolentemente o abusivamente (Cgue, Astone, C-332/15, sentenza del 28 luglio 2016).

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