Iva sull’arricchimento senza causa
L’Iva deve essere applicata anche sugli importi dovuti a titolo di arricchimento senza causa. Lo ribadisce la Terza sezione civile della Cassazione (ordinanza 20884/18, depositata ieri), restituendo alla Corte d’appello di Lecce il contenzioso tra tre privati su un appalto per la costruzione di una casa risultata abusiva.
Per giustificare il pagamento dell’Iva all’appaltatore, la Corte riprende un precedente di oltre 20 anni fa (sentenza 12493/97) in cui un imprenditore veniva indennizzato per la realizzazione di un impianto di depurazione pubblico: le somme percepite a titolo di indennizzo, argomentava la Terza civile, «rappresentano un corrispettivo in senso economico e sono imponibili ai fini Iva» anche se radicate dentro un’azione processuale sussidiaria (quella prevista dall’articolo 2042 del codice civile, ndr). Anche perché, aggiunge il relatore, se così non fosse si creerebbe uno scompenso tra le somme erogate dall’impresa a titolo di Iva passiva per le prestazioni richieste ad altre imprese e necessarie per la realizzazione dell’opera pubblica, e quelle non pagate dall’appaltatore sul corrispettivo percepito con l’azione di arricchimento, generando così un credito di Iva «incompatibile con il sistema fiscale».
In sostanza, spiega la Corte nel cassare la decisione originata dal tribunale di Nardò, la diminuzione patrimoniale subita dall’appaltatore è costituita anche dalla quota di onere rappresentata dall’Iva, indipendentemente se sul punto vi sia stato o meno l’accertamento della Guardia di finanza, perché si tratta di un onere al quale è tenuto per legge l’appaltatore ed è irrilevante per i committenti che questi l’abbia o meno corrisposta.
Cassazione, ordinanza 20884/2018