Controlli e liti

L’assegnazione al socio rende elusiva la scissione con trasferimento quote

Con la sentenza 27709/2022 la Cassazione afferma che è è necessario fare riferimento al complessivo significato economico dell’operazione posta in essere dal contribuente

di Dario Deotto e Luigi Lovecchio

La scissione societaria seguita dal successivo trasferimento delle partecipazioni, sia della scissa che della beneficiaria, realizza ipotesi di abuso del diritto quando sostanzialmente si realizza l’assegnazione dei beni ai soci. Perché è necessario fare riferimento al complessivo significato economico dell’operazione posta in essere dal contribuente. È il singolare pronunciamento della Cassazione, derivante dalla sentenza 27709/22, anche se si trattava di operazioni derivanti da specifici accordi negoziali tra i soggetti coinvolti, il cui contenuto non è noto nella sua completezza.

La Cassazione, comunque, in più punti della sentenza rimarca la prevalenza economica delle operazioni sul fatto giuridico. Ciò che conta è, sempre secondo la Corte, l’esame della logica economica perseguita attraverso le operazioni poste in essere. Nel caso di specie viene stabilito che il percorso più lineare sarebbe stato quello del recesso del socio - che ha trasferito le partecipazioni della scissa – mediante l’assegnazione degli immobili in contropartita della sua quota di partecipazione. Anche se dalla stessa pronuncia emerge che gli immobili sono rimasti nel patrimonio degli enti coinvolti, per cui non si comprende come possa essersi realizzata l’assegnazione al socio.

Ad ogni buon conto, la Cassazione in più punti rimarca che ai fini tributari bisogna fare riferimento ai risultati concreti realizzati a prescindere dalle forme giuridiche poste in essere.

Il fatto è che l’effetto economico degli atti giuridici ha certamente rilevanza nel contesto suo proprio, cioè quello dell’economia, ma è irrilevante sul piano tributario, a meno che la norma tributaria non lo disponga espressamente. Con la conseguenza che prima il Fisco e poi i giudici non possono identificare presunti effetti economici ulteriori rispetto a quello giuridici o, come nel caso della pronuncia in argomento, sostituire le forme giuridiche – legittime – adottate dal contribuente. Peraltro, tutto questo in nome dell’inopponibilità che risulta uno dei più grandi equivoci della fiscalità italiana perché permette al fisco di sostituire operazioni legittime con operazioni altrettanto legittime ma fiscalmente più onerose. In sostanza, con l’inopponibilità gli atti compiuti dal contribuente risultano perfettamente validi, ma sono considerati inefficaci nei confronti dell’Amministrazione.

È certamente possibile riqualificare il contratto o le sequenze negoziali nelle ipotesi di macchinazione fraudolenta, di contratti simulati, cioè di evasione, ma non quando l’assetto negoziale dell’operazione corrisponde alla volontà delle parti e viene trasfuso nel corrispondente tipo normativo.

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