La cartella che ricalcola l’Irpef va preceduta da un avviso
È nulla la cartella con la quale l’ufficio, ottemperando ad una sentenza, ridetermina la pretesa tributaria senza notificare previamente un atto di accertamento che ne evidenzi i criteri e l’iter logico seguiti. È il principio affermato dai giudici della Ctp di Treviso con la sentenza 76/1/2017 (presidente Chiarelli, relatore Fadel).
La decisione dei giudici trevigiani trae origine dall’impugnazione di alcune cartelle (in materia di Irpef e addizionali comunali e regionali su plusvalenze) con le quali l’ufficio, conformandosi ad una sentenza della Ctr, aveva provveduto a ricalcolare l’ammontare delle imposte dovute. In particolare, i ricorrenti avevano lamentato il fatto che le cartelle richiamavano la sentenza, ma non erano state precedute da un atto di accertamento che spiegasse loro le ragioni della pretesa.
I giudici hanno accolto i ricorsi, dal momento che l’ufficio, nel ricalcolare gli importi delle plusvalenze e le relative imposte, si era limitato a fare riferimento generico alla decisione della Ctr, e ciò doveva ritenersi insufficiente data la complessità delle questioni controverse.
La Ctr aveva demandato all’ufficio il ricalcolo delle plusvalenze, imponendo sul punto «particolare attenzione» a fronte della complessità del calcolo e della necessità di rispettare i criteri fissati.
Secondo i giudici veneti, l’ufficio non avrebbe dovuto semplicemente richiamare nella cartella la sentenza, ma avrebbe dovuto informare il contribuente delle ragioni specifiche sottese al ricalcolo con un atto di accertamento preventivo, o quanto meno avrebbe dovuto invitare lo stesso contribuente a un contraddittorio.
In assenza di ciò, doveva considerarsi perciò indubbiamente leso il diritto di difesa, oltretutto dal momento che il dispositivo della sentenza era suscettibile di diverse interpretazioni e non era stato chiarito come l’ufficio avesse operato.
Il riferimento alla sentenza deve essere considerato insufficiente, traducendosi in un difetto di motivazione dell’atto impugnato, non solo per quanto riguarda l’importo principale dell’imposta, ma anche con riferimento al quantum relativo alle sanzioni e agli interessi.
Il difetto di motivazione, si legge in conclusione nella sentenza della Ctp di Treviso, rende conseguenzialmente nulli gli atti impugnati, dal momento che la motivazione è un elemento essenziale nella formazione di un atto che manifesta una pretesa tributaria, anche al fine di tutelare il diritto di difesa che è costituzionalmente protetto.
La sentenza si conforma al consolidato orientamento della Corte di cassazione che ha affermato il principio in base al quale l’omissione della notificazione di un atto presupposto (accertamento) costituisce vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto consequenziale (cartella). Questo vizio può essere fatto valere mediante l’impugnazione dell’atto conseguenziale che gli è stato notificato oppure (cumulativamente) anche di quello non notificato (si veda, tra le altre, la sentenza della Cassazione 16412/2007).