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La chance del reshoring per tutelare la proprietà intellettuale

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di Gabriel Cuonzo

Per reshoring si intende il ritorno delle produzioni nei Paesi di origine dopo una lunga fase di delocalizzazione verso paesi dove il costo del lavoro è inferiore. I fattori che hanno determinato, a partire dal 2010, questa inversione di tendenza sono vari e noti, dalla diminuzione del gap salariale a quelli logistici e geopolitici (si pensi all’impatto del coronavirus).

Un fattore importante, ma meno conosciuto, è il rischio, divenuto sempre più insostenibile, di diluzione/perdita di know-how attraverso la delocalizzazione degli impianti produttivi. In un ventennio di globalizzazione la delocalizzazione ha comportato il trasferimento di una immensa quantità di sapere produttivo, in particolare verso la Cina, grazie alla “porosità” di quell’immenso ecosistema. L’esempio più visibile è il boom della telefonia mobile cinese e più in generale delle tecnologie di telecomunicazioni, che non sarebbe stato possibile in così poco tempo senza le delocalizzazioni da parte dei grandi players occidentali del settore. La concorrenza è basata sulla innovazione tecnologica e questa a sua volta costituisce il cuore immateriale ed in gran parte segreto delle imprese. Nell’economia 4.0 riesce sempre più difficile e rischioso separare questo cuore di know-how strategico dal corpo produttivo dell’impresa.

A questo punto entra in gioco il diritto della proprietà intellettuale che rappresenta l’infrastruttura giuridica che deve tutelare il sapere produttivo, sia esso segreto o oggetto di brevettazione. Il reshoring rappresenta (anche) riposizionamento del know-how in territori dotati di sistemi giuridici e giurisdizionali che tutelano efficacemente la proprietà intellettuale. Dunque per attrarre investimenti produttivi “di ritorno” dalla Cina o da altri paesi occorre essere competitivi sul piano della tutela della proprietà intellettuale. Come è messo il nostro paese in questa nuova competizione per attirare investimenti di ritorno? Bisogna dire che l’Italia è una delle nazioni che più hanno visto il ritorno delle produzioni dopo gli Usa. Ciò si spiega con la straordinaria qualità della nostra industria manifatturiera. Tuttavia l’Italia ha un grande punto debole nel suo sistema di protezione della proprietà intellettuale.

La debolezza non riguarda il sistema normativo (che è in linea con il resto dell’Ue), quando nella fragilità e lentezza del suo sistema giudiziario ed amministrativo. La durata dei processi (civili e penali) e la macchinosità bizantina delle procedure, hanno negli anni creato una forte diffidenza da parte della business community globale verso l’Italia come sistema politico, amministrativo e giudiziario visto complessivamente come poco affidabile. Se pensiamo alla straordinaria opportunità che l’Italia ha davanti grazie al fenomeno del reshoring, mettere mano al nostro sistema giudiziario per renderlo adeguato ai più alti standard occidentali, diventa una priorità assoluta. E non vi è tempo da perdere.

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