Controlli e liti

La compensazione non è pagamento, esclusa la non punibilità

La Cassazione si esprime sulla sopravvenuta posizione creditoria verso l’Erario

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

La sopravvenuta posizione creditoria verso l’erario e quindi una possibile compensazione legale non consente di fruire della causa di non punibilità per estinzione del debito tributario, in quanto la normativa penale fa riferimento al pagamento del debito. A fornire questa interpretazione è la Corte di Cassazione con la sentenza 17806/2020

Il rappresentante legale di una srl veniva condannato per omesso versamento dell’Iva risultante dalla dichiarazione annuale per alcuni milioni di euro.

In corso di giudizio rilevava l’applicazione della causa di esclusione del reato prevista dall’articolo 13 del Dlgs 74/2000 in conseguenza della compensazione di diritto delle rispettive poste debitorie del contribuente e dell’Erario. Evidenziava che non poteva costituire un ostacolo alla non punibilità il superamento del limite temporale della dichiarazione di apertura del dibattimento previsto dalla legge, in quanto l’udienza era intervenuta prima della introduzione della norma (Dlgs 158/2015).

Il ricorso
A seguito della conferma della condanna, proponeva ricorso per Cassazione eccependo tra l’altro che il giudice di appello non avesse correttamente applicato il disposto del citato articolo 13 in quanto avrebbe dovuto dichiarare la estinzione del debito erariale in conseguenza dell’applicazione della causa di esclusione della punibilità. In base alla predetta norma ricorre la non punibilità anche per il reato di omesso versamento Iva se il contribuente, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, abbia estinto con integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito di procedure conciliative e di adesione, nonché con ravvedimento operoso, i debiti tributari.

Secondo la difesa era irrilevante che la compensazione fosse maturata in corso di giudizio, attesa l’introduzione successiva della norma di favore ad opera del Dlgs 158/2015.

La Suprema Corte ha respinto il ricorso. Secondo i giudici di legittimità la doglianza difensiva muove da un presupposto implicito, dato per scontato, secondo cui la “compensazione di diritto” del debito Iva con crediti del contribuente, sarebbe idonea ad integrare la nozione di “integrale pagamento” dei debiti tributari. Tale aspetto, risulterebbe ovviamente prevalente rispetto alla tardività o meno del pagamento.

Il pagamento
La sentenza invece rileva che l’articolo 13 fa espresso riferimento al “pagamento”, in esso includendo anche ipotesi specifiche derivanti da istituti di natura conciliativa, ma non consente di includervi l’ipotesi della compensazione legale che rientra, per espressa qualificazione del codice civile, tra i «modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall'adempimento», ovvero, in altri termini, diversi proprio dal pagamento. Da qui il rigetto del ricorso.

Dalla sentenza sembra emergere che l’imputato avesse solo maturato un credito verso l’erario invocando una compensazione legale. Va da sé che se avesse assolto il debito tributario compensando effettivamente tale credito e quindi osservando le vigenti regole fiscali verosimilmente le conclusioni della Corte sarebbero state differenti.

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