I temi di NT+Modulo 24

La condanna alle spese di giudizio (anche per gli enti impositori) può ridurre il contenzioso

La condanna alle spese a fronte di contenziosi inutili potrebbero anche dar luogo a giudizi di responsabilità erariale in capo a quei funzionari che hanno proseguito nel procedimento

di Antonio Iorio

Tra le questioni che maggiormente fanno discutere nel processo tributario c’è la previsione delle spese di giudizio. In via generale, infatti, il rimborso delle spese di giudizio in favore della parte vittoriosa rappresenta uno strumento per la tutela del diritto di difesa: solo così, infatti, chi ritiene lesi i propri diritti, può agire in giudizio sapendo che, in caso di accoglimento delle sue ragioni, dovrà essere anche sollevato dagli oneri sostenuti. Per spese di giudizio si intendono gli onorari e i diritti del difensore, le spese generali, gli esborsi sostenuti, oltre il contributo previdenziale e l’imposta sul valore aggiunto, se dovuti e il contributo unificato versato per il processo.

Nel processo tributario, tali spese inizialmente trovavano la loro fonte nel Codice di procedura civile, successivamente sono state disciplinate dall’articolo 15 del Dlgs 546/1992 che ha previsto specifiche regole. Innanzitutto due precetti basilari:

1) la parte soccombente è condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate con la sentenza;

2) le spese possono essere compensate in tutto o in parte dalla Commissione tributaria soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate.

A fronte di tali regole generali vi sono due eccezioni:

a) nelle controversie precedute da reclamo/mediazione le spese di giudizio sono maggiorate del 50 per cento a titolo di rimborso delle maggiori spese del procedimento;

b) nel caso di proposta conciliativa non accettata dall’altra parte senza giustificato motivo, restano a carico di quest’ultima le spese del processo ove il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della proposta ad essa effettuata.

Per i difensori dei contribuenti i compensi sono liquidati sulla base dei parametri previsti per le singole categorie professionali e, in presenza di difensori appartenenti a categorie che non hanno parametri di riferimento, si applicano quelli previsti per i dottori commercialisti e gli esperti contabili.

Invece, per i difensori dell’ente impositore, dell’agente della riscossione ecc., se assistiti da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto.

Nonostante la chiarezza della norma, in pratica, si assiste ad un’applicazione di queste regole in modo rigoroso in caso di soccombenza del contribuente e, decisamente, più mite in ipotesi di soccombenza della parte erariale. Di frequente, infatti, in ipotesi di accoglimento del ricorso del contribuente viene disposta la compensazione per ragioni più o meno giustificate o, nei più favorevole dei casi, vengono liquidati importi ridottissimi, senza considerare i parametri previsti.

Da rilevare, poi, un principio particolarmente interessante espresso dalla Suprema Corte (sentenza 27444/2020) purtroppo abbastanza isolato e dopo poco tempo smentito. In estrema sintesi la Cassazione, riscontrata la presenza in giudizio dell’agenzia delle Entrate, senza il ministero di un difensore, ha escluso la condanna del contribuente al pagamento delle spese processuali sostenute dall’Ufficio stesso per diritti e onorari.In altri termini, quindi, poiché l’Agenzia non si era avvalsa di alcun difensore esterno e conseguentemente non aveva sostenuto i relativi oneri, il contribuente non poteva essere condannato alla refusione delle spese di giudizio.

A ben vedere si tratta di un principio assolutamente di buon senso: soprattutto negli uffici dell’agenzia delle Entrate (a differenza degli enti territoriali ad esempio) esiste il team legale, appositamente costituito per la difesa in giudizio.

In termini concreti, tale articolazione dell’Agenzia è esclusivamente dedicata alla gestione contenzioso (ed i relativi funzionari, quindi sono a tal fine retribuiti). Tuttavia l’articolo 15 disciplina espressamente l’ipotesi in cui l’ufficio erariale stia in giudizio per il tramite di propri dipendenti e quindi un simile orientamento non risulterebbe conforme allo spirito della norma.

È verosimile però che tale disposizione non abbia considerato le modifiche organiche dell’agenzia delle Entrate rispetto alla previsione di un ufficio legale in ciascuna direzione provinciale.

Mal si comprende infatti, anche in relazione alla motivazione dei giudici di legittimità, da quale mansione in concreto venga distratto il funzionario dell’ufficio legale per partecipare all’attività giudiziaria, posto che è proprio questo il compito di detta articolazione.

Le spese di giudizio da qualche anno sono previste anche per i procedimenti cautelari.Ed infatti sempre il citato articolo 15 prevede che con l’ordinanza che decide sulle istanze cautelari la Commissione provvede sulle spese della relativa fase.

La pronuncia sulle spese conserva efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza di merito. Tuttavia nella pratica, quasi sempre, il giudice rinvia alla quantificazione delle somme in occasione della pronuncia definitiva (concernente il merito).

È evidente che le spese di lite, oltre a rappresentare il giusto ristoro per chi ha dovuto intraprendere un processo per il riconoscimento delle proprie ragioni, potrebbero costituire, sotto altro profilo, anche un eccezionale deterrente per ridurre - o quanto meno limitare - inutili contenziosi.

Gli enti impositori, e segnatamente le agenzie fiscali, al pari dei contribuenti devono essere “penalizzati” dai costi del giudizio come prevede la normativa. Solo in questo modo è verosimile che sarebbero più accorti sulla opportunità di proseguire fino alla fase di legittimità contenziosi che potrebbero risolversi con un po’ di buon senso.

Vi è quindi da sperare che i giudici tributari considerino finalmente la parte pubblica sullo stesso piano di quella privata, disponendo, in caso di soccombenza degli Uffici, la condanna alle spese legali almeno per importi pari a quanto avrebbero decretato a posizioni contrapposte.

Applicando correttamente la norma si introdurrebbe un deterrente (previsto dal legislatore per tutte le parti e non solo per i contribuenti) nella prosecuzione di contenziosi spesso pretestuosi che mai un privato, a proprie spese, perseguirebbe.

Peraltro adeguate (e previste) condanne alle spese, a fronte di contenziosi inutili, potrebbero anche dar luogo a giudizi di responsabilità erariale in capo a quei funzionari che, negligentemente, hanno proseguito nel procedimento.

Questo articolo fa parte del nuovo Modulo24 Contenzioso Tributario del Gruppo 24 Ore. Leggi gli altri articoli degli autori del Comitato scientifico e scopri i dettagli di Modulo24