La confessione del legale rappresentante legittima l’analitico-induttivo
Via libera all'accertamento analitico-induttivo effettuato dalle Entrate sulla base di dichiarazioni confessorie rese dal legale rappresentante della società, in virtù del nesso d'immedesimazione organica tra i due soggetti. È quanto afferma l' ordinanza 22616/2014 della Cassazione .
La pronuncia ha accolto il primo motivo di ricorso eccepito dall'Agenzia per violazione e falsa applicazione dell'articolo 2909 del Codice civile, degli articoli 39, comma 1, e 41-bis del Dpr 600/1973 e ha cassato con rinvio le sentenze della Ctr dell'Emilia Romagna.
L'oggetto della controversia afferisce alle rettifiche, ai fini Iva, Irap e Irpef, dei ricavi della società e dei conseguenti redditi di partecipazione dei soci effettuate dall'agenzia delle entrate, a seguito di un accertamento analitico-induttivo, basatosi sulle dichiarazioni confessorie rese dal legale rappresentante della società qualificate come «testimonianze».
La Ctr ha reputato che non vi fossero i presupposti per il ricorso al metodo analitico-induttivo, per mancanza del requisito della gravità delle incongruenze contabili. L'ordinanza in esame ha, invece, chiarito che le dichiarazioni rese dall'amministratore nel corso della verifica sono qualificabili come confessione stragiudiziale, in virtù del nesso d'immedesimazione organica tra l'amministratore stesso e la società, rinviando ad un'altra sezione della Ctr per la verifica di quanto affermato dalla ricorrente.
L’ordinanza 22616/2014 della Cassazione