Controlli e liti

La contabilità inattendibile del ristorante legittima la ricostruzione induttiva dei ricavi

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di Alessandro Borgoglio

È legittimo l’avviso di accertamento, a carico di un ristorante, fondato su una ricostruzione analitico-induttiva dei ricavi che sia giustificata dall’inattendibilità delle scritture contabili, attesa l’omessa registrazione nell’anno di acquisti di pasta, la mancanza di alcuni numeri nei blocchetti delle ricevute fiscali e la registrazione di finanziamenti dei soci, sebbene negli ultimi anni essi non avessero manifestato capacità contributiva. È quanto si desume dall’ordinanza 28693/2019 della Cassazione.
Ai sensi dell’articolo 39, comma 1, lettera d), del Dpr 600/1973, l’Ufficio può rettificare la dichiarazione del contribuente se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche, ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa, nonché dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio tramite inviti e questionari; inoltre, l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti.
L’inattendibilità complessiva delle scritture contabili autorizza, quindi, il Fisco a procedere all’accertamento analitico-induttivo o analitico con presunzione.
È quanto accaduto nel caso oggetto della sentenza qui commentata, atteso che l’omessa registrazione dell’acquisto di un bene fondamentale oggetto dell’attività commerciale, come la pasta per un ristorante, così come il salto numerico di ricevute nei blocchetti utilizzati dall’esercente, costituiscono irregolarità contabili tali da giustificare il ricorso all’accertamento analitico-induttivo e, quindi, la ricostruzione indiretta dei ricavi da parte dell’Ufficio; non rileva, poi, che - come spesso accade - l’Ufficio abbia anche richiamato nell’atto impositivo lo scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dagli studi di settore a sostegno della suo accertamento, poiché ciò integra un ulteriore elemento di supporto della pretesa e non il fondamento della stessa (con la Cassazione 8143/2019 è stato recentemente legittimato un accertamento analitico-induttivo a un commerciante che non aveva esibito il rotolo degli scontrini fiscali richiesti dal Fisco; cfr. anche Cassazione 30377/2019).
Peraltro, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, quando le irregolarità formali delle scritture contabili sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili i dati in esse esposti, è allora addirittura legittimo il ricorso al metodo induttivo puro di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, nonché l’impiego, ai fini della determinazione dei maggiori ricavi, dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, tra i quali sono compresi il volume di affari dichiarato dallo stesso contribuente e la redditività media del settore specifico in cui opera l’impresa sottoposta ad accertamento (Cassazione 1951/2015): ciò può accadere, ad esempio, nel caso in cui l’inventario ometta di indicare e valorizzare le rimanenze con raggruppamento per categorie omogenee, ostacolando in tal modo l’analisi contabile del Fisco (Cassazione 16276/2019), oppure qualora emerga uno scostamento tra il risultato di esercizio indicato nello stato patrimoniale e l’utile netto da conto economico, non potendosi considerare una idonea giustificazione di tale scostamento l’asserito riporto a nuovo degli utili di un esercizio precedente, e ciò avuto riguardo anche al regime di contabilità semplificata del contribuente fino a tale periodo d’imposta precedente (Cassazione 24290/2018).

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