Imposte

La derivazione rafforzata fa i conti con il riordino delle regole di variazione

La scelta va contemperata con una riflessione su possibili tutele alternative

di Giuseppe Zizzo

Tra i criteri direttivi del disegno di legge delega per la riforma tributaria che interessano le imprese, uno dei principali è senza dubbio quello racchiuso nell’articolo 9, comma 1, lettera c). Nel prevedere «la revisione della disciplina dei costi parzialmente deducibili e il rafforzamento del processo di avvicinamento dei valori fiscali a quelli civilistici, prevedendo la possibilità di limitare le variazioni in aumento e in diminuzione da apportare alle risultanze del conto economico quali, in particolare, quelle concernenti gli ammortamenti, le opere, le forniture e i servizi di durata ultrannuale, le differenze su cambi per i debiti, i crediti in valuta e gli interessi di mora», questa disposizione intende evidentemente provocare una importante revisione delle regole di variazione al risultato del conto economico espresse dalla normativa sulla determinazione del reddito d’impresa in funzione di una maggiore aderenza degli elementi dell’imponibile a quello del risultato di esercizio.

L’esigenza di intervento

Essa interpreta un’esigenza fortemente avvertita già dalla legge 244/2007, quale risposta a regime alle questioni affrontate, in modo dichiaratamente transitorio, al momento della introduzione, per le società applicanti i principi contabili internazionali, del rinvio ai criteri contabili di qualificazione, imputazione temporale e classificazione. E confermata dalla posizione assunta dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 262/2020, laddove la Corte, pur con inevitabili distinguo, ha messo in chiaro (con specifico riferimento agli oneri, ma fissando termini validi anche per i proventi) che le variazioni al risultato del conto economico sono giustificate, e da ammettere, solo se, e nella misura in cui, superano un giudizio di ragionevolezza e proporzionalità condotto alla luce degli obiettivi che di volta in volta si intendono raggiungere per il loro tramite.

Le possibili ricadute

Il perimetro degli interventi realizzabili sulla base del criterio direttivo considerato è indubbiamente molto ampio. La sua attuazione potrà comportare la cancellazione delle regole di variazione che appaiono non giustificate, arbitrarie e distorsive, la rimodulazione di quelle che appaiono non adeguate o non proporzionate rispetto ai fini che perseguono, l’aggiornamento di quelle che appaiono obsolete, la razionalizzazione di quelle che appaiono immotivatamente complesse. È evidente però che, se, e nella misura in cui, le regole sulle quali si interviene riflettono fini meritevoli di attenzione, occorre valutare se l’intento di rafforzare la derivazione dai dati del conto economico imponga la rinuncia alla salvaguardia degli stessi oppure sia compatibile con l’adozione di meccanismi di tutela alternativi a quelli sin qui utilizzati.

Gli ammortamenti

Si consideri, per esemplificare, la normativa relativa gli ammortamenti, che peraltro è tra quelle espressamente nominate nella disposizione richiamata. Un intervento sulla stessa potrebbe, ad un estremo, risolversi in un semplice aggiornamento del decreto sui coefficienti di ammortamento, all’altro, sfociare nella sua cancellazione, eliminando qualsiasi filtro al trasferimento degli ammortamenti imputati a conto economico nel conteggio dell’imponibile.

La seconda ipotesi, specie se estesa alle rettifiche di valore e agli accantonamenti, produrrebbe, indubbiamente, un sensibile ampliamento del campo della derivazione, in piena adesione al criterio direttivo considerato. Imporrebbe, tuttavia, di scegliere se, venute meno le regole di variazione riguardanti tali voci di conto economico, queste ultime rilevino nella formazione dell’imponibile come meri fatti, senza che importi l’osservanza delle pertinenti regole contabili, oppure come, e se, espressione della corretta applicazione di queste ultime.

La portata limitata ai soggetti con revisione

Se anche si optasse, come ammesso dal disegno di legge delega, per limitare la sua portata «ai soli soggetti che sottopongono il proprio bilancio di esercizio a revisione legale dei conti ovvero sono in possesso di apposite certificazioni, rilasciate da professionisti qualificati, che attestano la correttezza degli imponibili dichiarati», assai difficilmente la scelta cadrebbe sulla prima soluzione indicata. In relazione a tali voci, l’Amministrazione finanziaria si ritroverebbe quindi verosimilmente investita del potere di verificare la corretta applicazione delle regole contabili, riproponendo quelle criticità sul fronte della certezza del diritto che le regole di variazione soppresse miravano a superare.

Una fascia di tolleranza per l’accertamento

Per attenuare questo effetto collaterale, rendendo l’adozione della soluzione in discorso maggiormente praticabile, una possibilità sarebbe quella di abbinare alla soppressione delle regole di variazione l’introduzione nella normativa sull’accertamento di una fascia di tolleranza, volta ad assicurare che le contestazioni in questi ambiti siano limitate a casi di insostenibilità evidente (per un soggetto dotato delle necessarie cognizioni specialistiche) dei valori esposti a conto economico, ad esempio ammettendo la loro rettifica solo se il valore ritenuto corretto dall’Amministrazione finanziaria differisca per almeno il 20% da quello esposto a conto economico, o comunque la rettifica prospettata sia di importo superiore ad una determinata soglia (ad esempio, 100.000 euro).

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