La giusta direzione del dialogo preventivo
È da almeno un paio d’anni che il Fisco cerca di presentare di sé un’immagine meno severa, meno arcigna, più aperta al dialogo e all’ascolto. Archiviata la brutta fase dei “blitz degli scontrini”, la nuova parola d’ordine è diventata il “cambia verso”: ovvero un nuovo rapporto tra fisco e cittadini. A dirla tutta, i contribuenti non sempre hanno colto né nelle pratiche dell’amministrazione finanziaria né nelle scelte del legislatore (vedi la questione delle nuove comunicazioni Iva) questo cambiamento. Anzi! Evidentemente, non sempre le buone intenzioni dei vertici dell’agenzia delle Entrate sono state recepite con altrettanto entusiasmo a livello di uffici periferici, forse più resistenti al cambiamento e alle aperture di credito verso i contribuenti.
Anche per questo motivo, la “cooperative compliance” – ovvero la collaborazione preventiva tra fisco e imprese, sulla quale ieri sono arrivati i primi accordi – rappresenta un passo concreto nella direzione di un nuovo modello di relazioni tra amministrazione finanziaria e imprese. Sul quale certamente ancora molto c’è da fare, specie pensando proprio ai contribuenti più piccoli, che da questi accordi sono esclusi, ma dei quali nessuno si può dimenticare.
I più ottimisti già si spingono a parlare di rivoluzione. Conviene però essere cauti, anche se non si può ignorare la portata innovativa – anche di tipo culturale – dello schema che sta dietro la cooperative compliance.
Si tratta di un modello che recepisce le più evolute raccomandazioni dell’Ocse e che da tempo viene utilizzato con successo in molti paesi: in Germania, per esempio, è abbastanza frequente che l’amministrazione fiscale disponga addirittura di un proprio ufficio all’interno delle grandi aziende che hanno scelto la cooperative compliance, e ovviamente non si tratta di una presenza finalizzata al controllo ma solo ed esclusivamente al dialogo. È un modello che ha come evidente finalità quella di anticipare il confronto tra il fisco e il contribuente, attualmente tutto basato sulle forme ex-post di controllo (e spesso sul successivo contenzioso).
Il nucleo di tutto è l’adozione di un sistema interno di gestione e monitoraggio dei rischi connessi agli adempimenti fiscali, un po’ come avviene in altri ambiti per effetto delle regole sulla responsabilità amministrativa delle imprese, di cui alla sempre più ampia casistica del Dlgs 231.
La cooperative compliance, è facile da intuire, restituisce un modello organizzativo che avrà grande impatto nella vita delle aziende (ovviamente in quelle che decideranno di aderire a questa modalità). In primo luogo, perché il «tax control framework» – ovvero il sistema di controllo interno – comporterà un maggior coinvolgimento dei responsabili fiscali nelle decisioni aziendali e al tempo stesso non potrà sfuggire alla supervisione del consiglio di amministrazione, che sarà quindi sempre più partecipe delle decisioni sulle strategie fiscali dell’impresa.
I vantaggi per le imprese? La legge prevede che chi accede a questo regime avrà risposte più rapide agli interpelli; non dovrà presentare garanzie per i rimborsi; alcune ipotesi di riduzione delle sanzioni. Non un grande appeal, come si vede. Nulla di nulla sul rischio penale, nessuna riduzione di adempimenti. Eppure la cooperative compliance potrà forse contare su altri, forse ben più importanti, benefici indiretti. L’individuazione dei rischi fiscali connessi, per esempio, a un’operazione straordinaria e il fatto di poter avviare subito un confronto preventivo con l’amministrazione ridurrà, anzi azzererà, la gestione di un possibile contenzioso, i maggiori costi non previsti, in termini di imposte e sanzioni. In una parola, ridurrà l’incertezza fiscale degli operatori che, come sappiamo, resta tra le tasse più odiate e che giustamente nessuno vuole pagare. Senza dire, poi, dei benefici reputazionali: in un periodo in cui molto spesso le multinazionali (ma non solo) finiscono agli onori della cronaca per la loro slealtà su tasse e imposte, non sembra irrilevante poter garantire, attraverso la cooperative compliance, la massima trasparenza delle proprie scelte, una specie di passaporto di correttezza fiscale.
Per il momento la cooperative compliance riguarda solo le imprese di grandi dimensioni (almeno 10 miliardi di fatturato) oppure quelle più piccole a condizione che abbiano fatto istanza di interpello sui nuovi investimenti o ancora quelle che hanno un fatturato di almeno un miliardo e hanno partecipato al progetto pilota avviato nel 2013, come è il caso della Ferrero Spa e di altre quattro società del gruppo che ieri hanno ricevuto la “tessera n.1” delle cooperative compliance dalle Entrate.
A conti fatti, in questa fase d’avvio, solo alcune decine di grandi imprese. E anche in prospettiva, se pure i requisiti di accesso dovessero essere ridotti a 100 milioni di fatturato come prevede la legge, le imprese interessate sarebbero comunque poco più di 3.000, meno dello 0,1% del totale.
Ovviamente, una riflessione andrebbe fatta anche sulla concreta possibilità per l’agenzia delle Entrate di offrire un servizio di questa portata a una platea di queste dimensioni, un servizio che peraltro richiederebbe non solo un’adeguata quantità di personale ma anche professionalità molto elevate.
Questo per ricordare che l’avvio della cooperative compliance non deve oscurare la realtà di un sistema economico come quello italiano fatto di alcuni milioni di piccole e micro attività e di alcune (poche) migliaia di grandi soggetti.
Resta il tema di come fare pagare le giuste imposte, senza accanimento ma anche senza leggerezze, a questi soggetti. La delega fiscale tracciava anche in questo caso una via – il tutoraggio per le imprese e i soggetti di piccola dimensione in cambio di una riduzione degli adempimenti – che è però rimasta inattuata. Un peccato, perché quel sistema avrebbe forse contribuito all’avvio di una svolta culturale anche nel rapporto del fisco con i piccoli contribuenti, quelli che più soffrono il peso e il costo degli adempimenti, almeno rispetto ai soggetti più strutturati.
Recuperare la delega non sarà facile, però forse se ne potrebbe almeno recuperare lo spirito, accelerando ancora nell’uso degli strumenti di premialità per i contribuenti più trasparenti.