Le perdite della società non penalizzano gli Sfp
Le perdite che la società consegua non intaccano gli strumenti finanziari partecipativi (Sfp) che la società stessa abbia emesso: è questa, in sintesi, la conclusione di una delle nuove - e più rilevanti - massime elaborate dai notai di Firenze, che saranno presentate venerdì 2 marzo nel corso di un convegno ad hoc.
Il nuovo principio di comportamento dei notai fiorentini ha infatti come oggetto gli strumenti finanziari partecipativi e la loro sorte nel caso in cui la società si venga a trovare in una situazione di deficit patrimoniale: il ragionamento svolto nella massima conduce dunque a ritenere che nello statuto della Spa può essere contenuta una previsione secondo la quale gli Sfp - destinati a rafforzare il patrimonio sociale in quanto privi di diritto al rimborso del relativo apporto - conservino, in tutto o in parte, inalterati i propri diritti patrimoniali e amministrativi anche qualora la riserva del patrimonio netto costituita a seguito della sottoscrizione di tali strumenti finanziari partecipativi sia stata erosa da perdite.
Come nascono gli Sfp
Praticamente sconosciuti anteriormente alla riforma del diritto societario del 2003, questi “strumenti” sono stati introdotti nelle norme che il Codice civile dedica alle società per azioni, con l’intento di offrire alle imprese italiane, endemicamente povere di capitale proprio e massicciamente finanziate dal sistema bancario, un nuovo supporto tecnico finalizzato a facilitare l’ampliamento e la diversificazione dei canali di reperimento delle risorse finanziarie.
È però accaduto che gli Sfp, in effetti ideati per agevolare la crescita delle imprese in una situazione di mercato fisiologica, si sono rivelati utili per fronteggiare invece le evenienze proprie di un periodo patologico: la crisi ha infatti provocato il frequente ricorso a operazioni di ristrutturazione del debito delle società, maturato in particolare, oltre che verso i fornitori, verso il sistema bancario; e l’utilizzo di ingenti quantitativi di crediti delle banche per ricapitalizzare le società debitrici ha sospinto all’ideazione di strumentazioni operative idonee a permettere alle banche stesse di “controllare” le scelte gestionali delle società che beneficiano di questi piani di ristrutturazione e, quindi, il concreto utilizzo del denaro bancario.
Nella strutturazione di queste operazioni e, quindi, nella soluzione di queste problematiche, gli operatori professionali hanno dunque conferito un ruolo sempre più incisivo agli Sfp, cui la legge peraltro dedica una scarna regolamentazione (contenuta negli articoli 2346, ultimo comma, e 2351, ultimo comma, Codice civile) demandando la disciplina del caso concreto alla fantasia e alle capacità tecniche degli operatori professionali.
L’utilizzo pratico
Gli Sfp (che sono variamente configurabili quali titoli di debito o di capitale) possono infatti essere un utile strumento per consentire alle banche un efficiente monitoraggio delle operazioni di risanamento che esse hanno consentito. Dalla qualificazione “economica” degli Sfp, e cioè dal fatto che essi siano inquadrabili come titoli di capitale di rischio o come titoli di debito derivano notevoli riflessi di rilievo pratico: anzitutto, il fatto che, mentre in quest’ultimo caso il titolare dell’Sfp ha il diritto al loro rimborso (secondo le regole stabilite all’atto della loro emissione), nel primo caso il titolare dell’Sfp è parificato a un “normale” azionista e non può vantare alcun diritto di rimborso verso la società emittente.
Nella recente esperienza applicativa decisamente prevale l’uso degli Sfp quali strumenti di equity, in quanto essi vengono emessi a fronte di apporti in denaro (o, meglio, di conversione di crediti) versati per accrescere il patrimonio dell’impresa, dotandola di capitale di rischio (sul piano contabile, a fronte dell’emissione di questi Sfp e del conseguente incremento patrimoniale, viene iscritta in bilancio una riserva rappresentativa del valore dell’apporto).
In questi casi, di regola, i titolari di Sfp vengono remunerati prioritariamente rispetto agli altri azionisti, ma in via subordinata rispetto ai creditori sociali, con un ritorno economico atteso in funzione degli utili sociali o, in alcuni casi, in funzione dei proventi rivenienti da alcune specifiche attività e, quindi, senza garanzie di rimborso dell’apporto.
VEDI IL GRAFICO: Le principali massime dai notai di Firenze