Le promesse della politica e la forza dei numeri
I dati delle dichiarazioni Irpef 2017 e (in misura minore) quelli sul reddito di inclusione irrompono nel confronto politico con la forza dei numeri. Che impone di conciliare promesse elettorali e aritmetica.
Se le bandiere della campagna elettorale sono state flat tax e reddito di cittadinanza ecco che i dati diffusi ieri che fissano, come su una lavagna, i numeri per i calcoli da compiere nella ricerca dell’accordo verso il nuovo Governo.
Ma andiamo con ordine. L’Irpef del 2017 si rivela assai simile a quella degli ultimi anni. Con un insieme di difetti strutturali che ne fanno un’imposta in difficoltà a svolgere il ruolo di architrave del sistema di prelievo sui redditi, che spesso non riesce a intercettare l’evasione o per la scelta di tassare separatamente molte fonti di reddito.
Al di là dell’incremento del reddito medio, l’analisi conferma la difficoltà a intercettare i redditi più elevati (solo lo 0,1% si colloca sopra quota 300mila euro e solo il 5,3% dei contribuenti dichiara più di 50.000 euro). Così come sembrano in stallo sostanziale i redditi da lavoro dipendente e da pensione. E le dichiarazioni certificano, al di là di ogni possibile dubbio, il distacco che separa il Sud dal resto d’Italia se è vero che il reddito medio del Nord-Ovest sfiora i 24mila euro mentre quello del Sud e delle isole supera a stento i 16.500 euro. Questo mentre resta imponente il volume degli sconti fiscali che vengono fatti valere dai contribuenti e che arrivano a più di 100 miliardi di euro (senza contare quelli destinati alle imprese). Con un dato che si può leggere sia come certificazione che l’area delle tax expenditures da riordinare è molto capiente, ma anche come certificazione di un costume consolidato a un sistema basato sulla concessione-utilizzo di sconti fiscali assai difficili da rimettere in discussione. Se è vero che molti (dai bonus casa alle deduzioni sui mutui) sono ormai entrati nella vita quotidiana dei contribuenti e del sistema fiscale.
Sullo sfondo la flat tax, che costituisce il vero punto di discordia fra Movimento Cinque Stelle e Lega, in un quadro in cui le due forze politiche sono d’accordo sulla riduzione del carico fiscale per le imprese ma non riescono a trovare un sentiero stretto comune per il taglio dell’Irpef.
E veniamo alla povertà. Nelle parole del Governo uscente, che ha rivendicato la paternità del reddito di inclusione c’è l’orgoglio di aver posto in essere uno strumento generale di lotta alla povertà. Che riguarda (se si comprende il sostegno di inclusione attiva) quasi 900mila persone. I numeri, però, hanno aperto la strada a una nuova polemica sul costo del reddito di cittadinanza a suon di miliardi fra Inps e Cinque stelle. Che la lotta alla povertà sia una priorità, certo, è vero se si pensa che il Rei coprirà 2,5 milioni di persone sui 4,7 milioni in stato di povertà. Che sia quasi fatto l’accordo Lega-Cinque stelle, anche. Che sia da evitare una fiera della vanità, come ha sottolineato, il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, è altrettanto evidente. Proprio il superamento delle velleità dovrebbe, più in generale, essere la cifra di chi aspira a porsi come classe dirigente del futuro. Le soluzioni possono (a volte devono) essere coraggiose. Senza, però, dimenticare la differenza fra il doveroso coraggio e l’azzardo fine a se stesso.