Contabilità

Lotta all’evasione, svolta dell’Ocse ma senza gli Usa

di Alessandro Galimberti

«Una pietra miliare nell’agenda della tassazione internazionale». Così l’Ocse definisce la firma, prevista per questa sera a Parigi, della Convenzione multilaterale sulle misure per prevenire l’elusione e lo spostamento dei profitti in giurisdizioni più favorevoli.

Alla cerimonia è prevista la partecipazione di una sessantina di ministri delle finanze - tra cui Wolfgang Schäuble e il neo ministro francese Bruno Le Maire - con uno scarto quindi di una quarantina di presenze rispetto alla più ampia platea di paesi che aderiscono al progetto Beps (base erosion and profit shifting).

La nuova convenzione - pur con i limiti di un accordo politico sovracontitentale, e dell’assenza degli Usa - è il primo trattato multilaterale di questo genere. Si tratta in sostanza di uno strumento che permetterà ai paesi sottoscrittori di recepire nei rispettivi trattati bilaterali fiscali i principi di azione messi a punto dal G20 e dall’Ocse in materia di trasparenza e di collaborazione internazionale.

Il punto di partenza del progetto, entrato in questa fase nel febbraio di due anni fa, è la stima ufficiale dell’imponibile che a livello globale sfugge alla tassazione, semplicemente sfruttando le vie di fuga verso paesi a bassissima imposizione, o anche senza del tutto gravami fiscali. Secondo l’Ocse si tratta di asset prudenzialmente stimati in una forbice tra 100 e 240 miliardi di dollari, vale a dire tra il 4 e il 10% del gettito mondiale delle imposte sulle società. Trend che, scrivono i sottoscrittori nella premessa alla Convenzione multilaterale, sono ormai osservati anche nelle economie emergenti e nei paesi in via di sviluppo, mentre «è importante assicurare che i profitti siano tassati dove l’attività economica genera i profitti e là dove si crea il valore».

La convenzione tocca le questioni dei “disallineamenti ibridi” - riguarda in particolare per i soggetti fiscali con doppia residenza - e i metodi di eliminazione della doppia imposizione, l’abuso dei trattati (dividend transfer, capital gain, la regola antiabuso per le stabili organizzazioni situate in una giurisdizione terza), gli accordi fiscali a danno del diritto di un paese di tassare i propri residenti (fiscali). In aggiunta la Convenzione multilaterale fissa anche e implementa i criteri per la risoluzione delle controversie, fino a definire le regole di arbitrato da applicare nel perimetro dei paesi sottoscrittori - sistemi alternativi alle giurisdizioni nazionali.

I 26 articoli della Convenzione, molto dettagliati, soffrono tuttavia di parecchie clausole “con riserva”, in sostanza offrendo la possibilità di disapplicazione anche di disposizioni “nevralgiche”. Se a questo si aggiunge l’atteggiamento degli Usa - che nel 2009 trascinarono l’Ocse e il G20 verso la trasparenza fiscale globale, ma che dal luglio scorso hanno smesso anche solo di ratificare qualsiasi accordo internazionale - la definizione di «pietra miliare» della Convenzione può apparire oggi più come un’aspirazione piuttosto che un punto di approdo.

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