Controlli e liti

Nella cartella di pagamento si omettono i tassi applicati

L’esimente scatta, secondo le Sezioni unite della Cassazione, perché sono di volta in volta determinati con provvedimenti pubblici. In caso di controllo automatizzato basta il mero richiamo alla dichiarazione

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Per gli interessi pretesi con la cartella di pagamento non è necessaria l’indicazione dei tassi applicati poiché sono di volta in volta determinati con provvedimenti pubblici. A fornire questo principio, in passato abbastanza controverso, sono le Sezioni Unite con la sentenza 22281/2022.

La vicenda traeva origine dall’impugnazione di una cartella di pagamento relativa a un precedente avviso di liquidazione di imposta di registro e catastali non pagate.

Tra i diversi motivi di impugnazione, era eccepita l’incertezza degli interessi pretesi in quanto non era indicata la modalità di calcolo, tanto meno i tassi applicati nell’arco temporale di riferimento (nella specie 30 anni).

Entrambi i giudici di merito confermavano la legittimità della cartella nel presupposto che le somme indicate a titolo di interessi corrispondevano a quelle riportate nell’originario avviso di liquidazione, solo maggiorate per l’ulteriore tempo trascorso.

La decisione veniva impugnata in Cassazione che con ordinanza interlocutoria rimetteva gli atti al Primo presidente per l’assegnazione alle Sezioni unite. L’alto consesso ha preliminarmente ricordato che in materia tributaria l’obbligo di motivazione prevede che siano indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la “decisione dell’amministrazione”.

Per la cartella di pagamento occorre l’indicazione nel ruolo dell’eventuale precedente atto di accertamento ovvero di una sintetica motivazione. Ne consegue così che la motivazione deve riportare elementi con un grado di determinatezza tale da consentire all’interessato un esercizio semplice del diritto di difesa.

Con specifico riferimento agli interessi, le Sezioni unite hanno preliminarmente affermato che in via generale, è configurabile in capo all’Amministrazione finanziaria un preciso obbligo di motivazione dell’atto per la parte degli interessi pretesi sul debito fiscale. Tuttavia, è stato effettuato un distinguo a seconda del tipo della pretesa contenuta nella cartella di pagamento.

Per l’ipotesi in cui il provvedimento richieda interessi mai prima determinati e pretesi dall’ente accertatore, occorre una motivazione completa.

L’agente della Riscossione deve infatti esternare gli elementi essenziali della pretesa che consentano al contribuente di verificare la legittimità. In concreto occorre l’indicazione della norma tributaria di riferimento, l’imposta sulla quale sono stati calcolati e la data di decorrenza. Non sono stati però ritenuti necessari i saggi di interessi, atteso che sono modificati periodicamente con provvedimenti soggetti ad obbligo di pubblicazione.

Nella diversa ipotesi in cui la cartella sia conseguenza di un precedente atto nel quale sono già stati computati gli interessi per il ritardato pagamento, l’obbligo di motivazione è assolto con il richiamo diretto e specifico al provvedimento prodromico. In sostanza, quindi, è sufficiente l’esposizione del ruolo, del titolo costitutivo della pretesa e l’entità del debito fiscale di interessi.

Per le cartelle conseguenti al controllo automatizzato, invece, l’obbligo di motivazione è assolto con il mero richiamo alla dichiarazione.

Tuttavia, il riferimento al quadro, modulo, rigo, periodo e data degli eventuali versamenti tardivi esonera l’amministrazione solo limitatamente alla decorrenza dell’obbligazione, perché desumibile dalla dichiarazione, ma è necessaria l’indicazione del parametro normativo per il calcolo degli interessi. Anche in questo caso secondo le Sezioni unite non è necessaria l’indicazione dei tassi di interesse applicati né le modalità di calcolo.

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