Controlli e liti

Niente obbligo di contraddittorio per la rettifica sulle percentuali di ricarico

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di Alessandro Borgoglio

Non sussiste alcun obbligo di contraddittorio preventivo nel caso in cui l’accertamento analitico-induttivo sia fondato sulle percentuali di ricarico, sebbene l’avvio della procedura accertativa sia scattato dalle risultanze degli studi di settore, come indicato nell’atto impositivo. Lo ha stabilito la Cassazione, con l’ordinanza 15344/2019.

La differenza tra accertamento analitico-induttivo e quello da studi di settore risiede nel fatto che, con il primo, la determinazione del reddito è effettuata nell’ambito delle stesse risultanze della contabilità, ma con una ricostruzione induttiva solo di singoli elementi, dei quali risulta provata aliunde (cioè mediante elementi inferenziali esterni alla contabilità) la mancanza o l’inesattezza: tale metodo di accertamento presuppone, diversamente da quello induttivo puro, che la documentazione contabile sia nel complesso attendibile e, pertanto, la ricostruzione fondata sulle presunzioni semplici, all’articolo 39, comma 1, lettera d), del Dpr 600/1973 non ha ad oggetto il reddito nella sua totalità, ma singoli elementi attivi e passivi (Cassazione 7025/2018).

L’accertamento basato sugli studi di settore, invece, ha carattere presuntivo e consente all’Amministrazione finanziaria una ricostruzione complessiva in presenza di gravi incongruenze tra quanto dichiarato dal contribuente e quanto avrebbe dovuto essere dichiarato in rapporto alle condizioni e alle caratteristiche dell’attività svolta.
Nel caso oggetto della sentenza qui commentata, l’accertamento a carico di una ditta individuale era scattato sulla base delle risultanze degli studi di settore, ma poi l’Ufficio, nel corso dell’attività istruttoria, aveva richiesto la contabilità del contribuente e, sulla base della sua analisi, aveva effettuato una ricostruzione indiretta dei ricavi, attraverso l’applicazione di una idonea percentuale di ricarico, atteso che quella risultante dalla contabilità non era stata ritenuta attendibile.

Si era trattato, quindi, come confermato dalla Suprema Corte, di un accertamento analitico-induttivo, basato sulla contabilità prodotta dallo stesso contribuente, ritenuta formalmente regolare, ma disattesa sulla base di una posta induttiva, costituita nello specifico caso dalla percentuale di ricarico: operazione accertativa che è normativamente prevista dall’articolo 39, comma 1, lettera d), del Dpr 600/1973, il quale ammette, appunto, l’uso delle presunzioni anche in caso di contabilità regolare (ex pluris, Cassazione 10212/2018, 26627/2017, 14281/2016 che ha ammesso anche l’uso di taluni dati degli studi di settore per la rideterminazione analitico-induttiva dei ricavi).

Soltanto l’accertamento basato sugli studi di settore, però, richiede il preventivo contraddittorio, a pena di nullità dell’atto impositivo (ex pluris, Cassazione 9671/2017, 23723/2018, 10711/2019), mentre gli accertamenti analitico-induttivi ai fini delle imposte dirette non necessitano (sulla base della legislazione vigente) di preventivo confronto con l’Ufficio (ex pluris, Cassazione 6708/2019, 15153/2019, 21767/2018).
Nel caso di specie, pertanto, il Fisco non era tenuto a convocare il contribuente prima della notifica dell’avviso di accertamento, omissione che era stata eccepita dalla difesa di parte, ma, appunto, ritenuta irrilevante della Suprema Corte.

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