Niente riqualificazione per la cessione di quote
L'operazione di cessione di quote di una società non può essere riqualificata ai fini del registro come cessione di azienda da tassare in modo proporzionale. Ciò in considerazione dei differenti effetti giuridici dei due atti e della libertà di scelta tra due opzioni entrambe lecite dal punto di visto fiscale. In tale contesto non può quindi essere invocato il divieto di abuso del diritto, né è applicabile l'articolo 20 del Testo unico del registro (Dpr 181/1986). Sono i principi di diritto affermati dalla sentenza 3466/49/2014 della Ctr Lombardia (presidente Leotta, relatore Primavera).
I giudici si sono occupati di uno dei casi in cui l'amministrazione finanziaria riqualifica - utilizzando in chiave antielusiva l'articolo 20 del Dpr 181/1986 e richiamando anche il principio del divieto di abuso del diritto - uno share deal (operazione su partecipazioni) in un asset deal (operazione su beni), ciò al fine di applicare una imposta di registro proporzionale in luogo di quella fissa.
Nel caso esaminato dalla pronuncia, l'oggetto della contestazione era una cessione di quote di una società da parte dei tre soci persone fisiche ad un'altra società. In seguito, le due società si sono fuse. Ad avviso dell'agenzia delle Entrate tale sequenza di atti sarebbe stata posta in essere per evitare la più onerosa tassazione di registro nel caso in cui si fosse proceduto a cedere direttamente gli asset della prima società alla seconda.
I giudici della Ctr ritengono non condivisibile questa impostazione sotto più profili. La sentenza puntualizza come l'operazione di cessione sia del tutto scollegata rispetto alla successiva fusione (riguardando anche diversi soggetti, in quanto i tre soci persone fisiche sono ovviamente interessati solo dalla prima operazione) e che i due atti (cessione quote e cessione, presunta, di azienda) presentano comunque evidentissime differenze contabili, legali e fiscali, soprattutto in termini di responsabilità. Basta pensare all'articolo 14 del Dlgs 472/1997, che non vale per gli share deal e a tutte le norme del Codice civile in materia, comprese quelle sulla concorrenza.
La circolazione di un complesso aziendale può avvenire non solo per il tramite della sua diretta cessione a terzi (asset deal), ma anche mediante il ricorso a strumenti alternativi (share deal) consistenti in:
• cessione delle partecipazioni della società che possiede il complesso aziendale medesimo, fondendo eventualmente anche le due società successivamente;
conferimento del complesso aziendale seguito poi dalla cessione delle partecipazioni ricevute;
• scissione della società contenitore con cessione delle partecipazioni della scissa (in cui il complesso aziendale rimanga a quest'ultima) o della beneficiaria.
Secondo i giudici di secondo grado non si può sindacare ai fini del registro «la finalità economica di una serie di atti correlati come è previsto dall'articolo 37-bis del Dpr 600/1973» perché manca «nel sistema dell'imposta di registro una norma antielusiva generale», non potendo a tal fine sopperire l'articolo 20 del Testo unico del registro. La norma guarda solamente alle finalità giuridiche delle operazioni: una circostanza che deriva dal fatto che l'imposta di registro è un imposta d'atto.