No al conferimento con debito
Se si conferisce in società un immobile e, nel contempo, si accolla alla società conferitaria un debito, originato pochi giorni prima dalla stipula di un contratto di mutuo, si pone in essere un «vantaggio fiscale» che non può «spiegarsi altrimenti che con il mero intento di conseguire un risparmio di imposta». Quindi la tassazione del conferimento con l’imposta di registro ha, come base imponibile, il valore del terreno, che non si può diminuire, come preteso dal contribuente, col valore del debito accollato alla società conferitaria. Lo afferma la Cassazione nella sentenza 3533 del 14 febbraio 2018.
La pronuncia è in perfetta scia con la precedente giurisprudenza di legittimità, quindi di per sé non farebbe notizia. Ci sono già le sentenze 536/2001, 16768/2002, 9541/2013, 9580/2013, 3444/2014, 23234/2015, 23239/2015, 475/2018, 2007/2018.
La notizia è però che nella motivazione, seppur di poche righe, si legge che l’orientamento tenuto in passato dalla Cassazione in materia trova conferma anche con l’entrata in vigore dell’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente.
Dice, sul punto, la sentenza 3533/2018, che l’articolo 10-bis altro non ha fatto che codificare un principio già immanente nel sistema perché derivante dall’articolo 53 della Costituzione e cioè dal principio di capacità contributiva. Conclusione, però, sulla quale si può ampiamente dissentire, in quanto è pacifico che l’articolo 10-bis ha precisato che, per configurarsi l’abuso del diritto, occorre che l’amministrazione dimostri, tra l’altro e innanzitutto, il comportamento indebito del contribuente. Per tale intendendosi il comportamento che il legislatore avrebbe vietato se l’avesse preso esplicitamente in considerazione. Insomma, un comportamento contrario ai principi generali dell’ordinamento tributario ma non codificato.
Senonché, nel caso del conferimento con accollo di debito alla società conferitaria, il giudizio di liceità di questa operazione non affatica per nulla l’interprete, in quanto è la legge stessa che ammette l’operazione, testualmente prevedendola nell’articolo 50 del Testo unico dell’imposta di registro.
Né è possibile, come talora la giurisprudenza ha ritenuto, che l’accollo del debito non sia fiscalmente riconoscibile qualora il debito non sia ritenuto “inerente” all’asset oggetto di conferimento: e ciò in quanto è un elementare errore quello di ritenere che una passività possa essere inerente a un bene, in quanto la passività è una situazione giuridica propria di un soggetto e non di un bene. E comunque, se proprio si volesse trovare una inerenza tra un debito e un immobile, miglior “aggancio” non potrebbe esserci di quello rappresentato (come è accaduto nella fattispecie giudicata dalla Cassazione nella sentenza n. 3533/2018) dall’ipoteca iscritta a garanzia del mutuo accollato alla società conferitaria.
Vero invece è che non è vietato (anzi, l’articolo 10-bis lo prevede espressamente) ricercare le soluzioni ed effettuare operazioni che procurano risparmio d’imposta, se non indebite, in quanto qualsiasi buon padre di famiglia cerca di fare il massimo possibile con la minima spesa.
Cassazione , sentenza 3533/2018