Adempimenti

Non è un abuso la scissione parziale non proporzionale

Sotto la lente dell’agenzia delle Entrate le operazioni che generano distribuzioni sperequate

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di Alessandro Germani

Una scissione parziale non proporzionale finalizzata a separare le compagini sociali in disaccordo non costituisce disegno abusivo in nessuno dei settori impositivi. È questa la risposta n. 421 di ieri.

La società istante conduce in locazione immobili di sua proprietà ed è posseduta al 50% ciascuno da due soci che detengono la nuda proprietà. L’usufrutto è invece posseduto, sempre al 50% ciascuno, da altre due persone fisiche. La scissione parziale non proporzionale, in risposta al dissidio fra i due soci, mira a far sì un socio resti intestatario dell'intero capitale della scissa e l’altro socio della beneficiaria. Ciascuno degli usufruttuari resterà invece titolare del 50% dell’usufrutto sulle quote. Quali ragioni dell’operazione vengono citate la soluzione alla conflittualità esistente, la prosecuzione dell'attività da parte di ciascun socio con una consistenza patrimoniale in linea col business condotto, l’assenza di obiettivi di vendita delle quote; il tutto senza alcun risparmio di imposta.

Per quanto concerne le imposte dirette, l’Agenzia chiarisce un aspetto spesso rimarcato, ovvero che restano sotto la lente le operazioni per cui vi sia una distribuzione sperequata, nella fase attuativa della scissione, dei valori economici relativi alle partecipazioni da attribuire ai soci unici delle due società beneficiarie rispetto ai valori economici delle partecipazioni originariamente detenute da ciascuno di essi nella società scissa, tale da determinare un arricchimento di un socio a discapito di un altro socio.

Le Entrate rammentano che la scissione è un'operazione neutrale ex articolo 173 del Tuir e che il passaggio del patrimonio dalla scissa alla beneficiaria non determina la fuoriuscita degli elementi trasferiti dal regime ordinario d’impresa. A quel punto i plusvalori dei beni che attraverso la scissione sono trasferiti da un'entità all’altra resteranno latenti, per poi essere assoggettati a tassazione all’atto della fuoriuscita dall'ambito dei beni relativi all'impresa (cessione onerosa, risarcimento, assegnazione ai soci, destinazione a finalità estranee). L’Agenzia premia l’obiettivo raggiunto che è quello di non conseguire alcun risparmio fiscale indebito e di rendere così autonomo ciascun socio nella gestione degli immobili, che attraverso la scissione sono attribuiti alla scissa e alla beneficiaria.

Viene confermata la liceità, intesa come assenza di vantaggio fiscale indebito, anche per il comparto delle indirette. Ai fini Iva i passaggi dei beni in dipendenza delle scissioni non costituiscono cessioni di beni, mentre si applica, se rileva, la rettifica della detrazione (articolo 19-bis2 comma 7 del Dpr 633/72).

Ai fini del registro, come anche delle ipocatastali, si applica l’imposta in misura fissa pari a 200 euro cadauna. Importante evidenziare come faccia premio l’assenza di risparmio indebito e la tematica della separazione “fisiologica”, mentre il fatto che il capitale sia dosato fra nuda proprietà e usufrutto correttamente non rileva. Come già affermato nelle precedenti risposte sulle scissioni 106/19, 148/19 e 343/19.

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