Controlli e liti

Non è elusione svalutare crediti inesigibili

L’ordinanza 34483/2021 della Cassazione: deducibilità subordinata a regole contabili. Escluso il vantaggio fiscale

di Laura Ambrosi

La svalutazione di un credito perché ritenuto inesigibile ovvero l’imputazione a perdita non sono operazioni che potrebbero consentire indebiti vantaggi al contribuente: la deducibilità è subordinata alle valutazioni degli amministratori nel rispetto dei doveri di veridicità e correttezza per la redazione del bilancio. Ad affermarlo è la Cassazione con l’ordinanza 34483/2021.

La vicenda trae origine dalla deduzione operata da una banca di alcune svalutazioni di crediti, nel presupposto dell’elevato rischio di inesigibilità. In tale contesto, la Suprema Corte ha affrontato più in generale la questione della deducibilità delle perdite su crediti e delle predette svalutazioni. Innanzitutto, la Cassazione ha ricordato che la redazione del bilancio delle società di capitali deve rispondere ai criteri di chiarezza, veridicità e correttezza e in particolare i crediti devono essere iscritti secondo il valore presumibile di realizzazione.

In base al Tuir (articolo 101) le perdite su crediti sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi e sono espressamente disciplinate le regole per le svalutazioni e gli accantonamenti per rischi (articolo 106). È quindi legittima l’imputazione a conto economico dei crediti svalutati che, prescindendo dal criterio quantitativo (nella specie la svalutazione operata era del 100%), poggi solo sulla sussistenza del rischio di inesigibilità.

Gli amministratori della società sono tenuti a una analisi valutativo-estimativa proprio al fine della corretta redazione del bilancio. Il discrimine tra perdite sui crediti e svalutazione è segnato del venire meno della «voce»: c’è perdita quando in esito a un giudizio prognostico il credito è definitivamente inesigibile, mentre la svalutazione, totale o parziale, presuppone una perdita solo potenziale, probabile ma non certa ed ha una sorta di carattere temporaneo. In tale caso (svalutazione) il credito non va eliminato dal bilancio poiché il debitore potrebbe adempiere. In assenza di elementi certi e precisi di eliminazione del credito anche da un profilo giuridico, è corretta l’integrale svalutazione e ciò è rispettoso dei principi di diritto civile, tributario e contabili.

La sentenza ha poi smentito la tesi erariale secondo la quale la svalutazione potrebbe comportare un indebito vantaggio fiscale per il contribuente. Secondo la Suprema Corte il sistema è coordinato affinché non sussista il rischio di una doppia illegittima deduzione del medesimo componente (il credito). La svalutazione, infatti, non determina elusione poiché ove fosse definitivamente perso, il contribuente non avrebbe diritto ad alcuna ulteriore deduzione; se fosse incassato genererebbe maggior reddito tassabile. Analogamente, l’iscrizione di una perdita non precedentemente svalutata sarebbe deducibile. La decisione è interessante poiché àncora il presupposto di deducibilità a regole “contabili” escludendo che l’Agenzia possa derogarle secondo proprie discrezionali tesi.

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