Imposte

Non residenti senza deduzione dei contributi facoltativi

La risposta a interpello 148/2020 delle Entrate conferma il divieto sancito dall’articolo 24 del Tuir

di Luciano De Vico

I contribuenti non residenti non possono dedurre dal reddito complessivo prodotto in Italia i contributi versati facoltativamente alla gestione della forma pensionistica obbligatoria di appartenenza. Il principio - confermato dall’agenzia delleEntrate nella risposta a interpello 148 pubblicata il 26 maggio - è contenuto nell’articolo 24 del Tuir che detta le regole per la determinazione dell’imposta dovuta dai non residenti.

Per questi ultimi, l’Irpef si calcola esclusivamente sui redditi prodotti nel territorio dello stato e dal reddito complessivo è consentita la deduzione solo di alcuni oneri previsti dall’articolo 10, tra i quali non figurano i contributi previdenziali. Il reddito prodotto in Italia dai non residenti, proseguono le entrate, costituisce un parametro insufficiente della capacità contributiva complessiva, in quanto rappresenta solo una parte del reddito assoggettato a tassazione nel paese della fonte.

L’unica eccezione è rappresentata dal comma 3-bis del medesimo articolo 24, che estende gli stessi benefici fiscali previsti per i contribuenti italiani ai cosiddetti «non residenti Schumacker». Si tratta in particolare di soggetti residenti in Paesi che assicurano un adeguato scambio di informazioni, che hanno prodotto in Italia almeno al 75% del reddito complessivo e che non usufruiscono di agevolazioni fiscali analoghe nello stato di residenza. Questa norma è stata introdotta a partire dal 2014 al fine di superare la procedura d’infrazione avviata nei confronti dell’Italia per violazione del diritto dell’Ue in materia di libera circolazione dei lavoratori dipendenti.

La Corte di giustizia, infatti, nella famosa sentenza Schumacker, aveva stabilito che detti principi ostano all’applicazione di una normativa nazionale di uno stato membro che, come stato della fonte di produzione del reddito, non riconosce detrazioni di carattere personale al lavoratore non residente quando egli produce una significativa porzione del suo reddito complessivo in quello stato.

Secondo l’agenzia delle Entrate, nella risposta a interpello 148/2020, l’istante non può usufruire della deduzione richiesta, poiché residente all’estero e nel presupposto di non aver prodotto in Italia almeno il 75 per cento del suo reddito complessivo. La sentenza citata nell’istanza, invero, resa dalla Corte di Giustizia il 6 dicembre 2018 nella causa n. C-480/17, ha stabilito che uno stato membro non può adottare una normativa che prevede una disparità di trattamento tra contribuenti residenti e non residenti con riferimento alla deducibilità di contributi obbligatori versati a un ente previdenziale professionale, in proporzione alla parte dei redditi soggetti all’imposta di questo stato membro, quando essi hanno un nesso diretto con l’attività che ha generato tale reddito.

Sempre secondo la Corte di giustizia, i contributi volontari versati all’ente previdenziale professionale discendono da una decisione libera del soggetto che decide di aumentare i propri diritti pensionistici e pertanto non possono essere considerate spese necessarie né per l’esercizio dell’attività, né per la percezione di redditi imponibili nel paese della fonte. Il contribuente non residente, quindi non si trova in una situazione comparabile a quella di uno residente. L’istanza di interpello aveva ad oggetto proprio i contributi previdenziali versati facoltativamente all’Inps, che gestisce la forma pensionistica obbligatoria di appartenenza, e come tali deducibili dal reddito solo nel caso di «non residenti Schumacker».

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