Imposte

Note di variazione Iva dopo il fallimento, la clausola ne condiziona l’emissione

La risposta a interpello 261: in caso di mancato pagamento, previsto come causa di risoluzione del contratto, il cedente/prestatore può operare le variazioni in diminuzione

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di Federico Gavioli

L’agenzia delle Entrate con la risposta n. 261 dell’11 agosto 2020 afferma che nella nota di variazione Iva, nella procedura post-fallimento, per le prestazioni a esecuzione continuata o periodica, è sostanzialmente la clausola che ne condiziona l’emissione.

Il quesito

Nel caso in esame una società fallita ha posto un quesito alle Entrate su come registrare contabilmente/fiscalmente le note di accredito ricevute, successivamente alla dichiarazione di fallimento, emesse da fornitori di servizi ad esecuzione continuata o periodica. In particolare tali note di accredito sono relative a fatture rimaste insolute, emesse sia nel periodo antecedente che in quello successivo al fallimento, per servizi effettivamente resi dalla società fallita, nel periodo antecedente al fallimento. La problematica esposta nel quesito dalla società fallita, è relativa al fatto che tali note di accredito non sono state emesse avvalendosi del presupposto del “mancato pagamento” del corrispettivo, ma a seguito della “risoluzione del contratto” per inadempimento del cliente (poi fallito), per effetto o di clausola risolutiva espressa prevista nei contratti di fornitura o di altra clausola contrattuale che permette la risoluzione immediata del contratto, a seguito di inadempimento.

La risposta delle Entrate

I tecnici delle Entrate ricordano preliminarmente che l’articolo 26, comma 2, del Dpr 633/1972, regola le variazioni “in diminuzione” dell’imponibile e dell’imposta il cui esercizio, diversamente dalle variazioni “in aumento”, ha natura facoltativa ed è limitato ai casi espressamente previsti dal legislatore. Il successivo comma 9, del citato articolo 26, consente al cedente prestatore di recuperare l’Iva relativa ai corrispettivi non percepiti per forniture di beni e servizi effettuate in forza di contratti a esecuzione continuata o periodica, purché ci si trovi in presenza di una risoluzione per inadempimento e l’esercizio della clausola comporti l’effettiva interruzione della fornitura.

Ne deriva che, in caso di mancato pagamento, previsto come causa di risoluzione del contratto, il cedente/prestatore ha la possibilità di operare le corrispondenti variazioni in diminuzione, senza promuovere una procedura esecutiva e attenderne l’esito e, quindi, recuperare l’Iva relativa a tutte le forniture regolarmente adempiute e per le quali non ha ricevuto alcun pagamento.

Poiché il fallimento è stato dichiarato prima dell’esercizio della clausola risolutiva per inadempimento e dell’emissione delle note di variazione, il fornitore al fine di recuperare l’Iva non riscossa, deve insinuarsi al passivo della procedura e attenderne l’esito. Il curatore, a sua volta, ricevute le note di accredito emesse, dovrà procedere alla sola annotazione di tali note di accredito senza inclusione nel riparto finale e nella dichiarazione Iva finale della procedura. Tale annotazione, conclude l’agenzia delle Entrate, non determina l’inclusione del relativo credito Iva nel riparto finale, il quale è ormai definitivo, ma ha solo la finalità di evidenziare il credito da parte dell’Erario eventualmente esigibile, nei confronti del fallito tornato in bonis.

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