Controlli e liti

Notifica nel 2021, ecco perché la norma non vale solo per gli avvisi subito in scadenza

La finalità pro contribuente e il principio di ragionevolezza ampliano la portata del doppio termine

di Dario Deotto e Luigi Lovecchio

Entro la fine di quest’anno è inibita la notifica della generalità degli atti impositivi in scadenza tra l’8 marzo e il 31 dicembre 2020, salvi i casi di indifferibilità ed urgenza. Ma se ciò è vero per gli atti in scadenza, lo stesso a maggior ragione deve valere per le annualità d’imposta che decadono successivamente. Ciò, alla luce dell’interpretazione ispirata tanto alla ratio della previsione, confortata dalla rubrica di legge che al principio di ragionevolezza (articolo 3 della Costituzione).

Il rinvio
L’articolo 157 del testo bollinato del decreto rilancio, il Dl 34/2020 pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» 128 del 19 maggio, prevede che, in deroga all’articolo 3 della legge 212/2000, tutti i provvedimenti impositivi (avvisi di accertamento, atti di contestazione, ma anche cartelle, ex articoli 36-bis e 36-ter del Dpr 600/1973), per i quali i termini di decadenza e prescrizione scadono tra l’8 marzo e il 31 dicembre prossimo, devono essere formati entro la fine dell’anno ma possono essere notificati solo a partire dal 1° gennaio 2021 e fino al 31 dicembre 2021.

A tale scopo, con appositi provvedimenti attuativi, saranno stabilite le modalità con le quali si potrà accertare la data di emissione dell’atto e dunque il rispetto del termine del 31 dicembre 2020.

Il doppio termine
Come già evidenziato in un precedente intervento (NTplus dell’11 maggio), si tratta di una disposizione che introduce un doppio termine decadenziale e che ricalca quanto in passato vigeva per i ruoli di riscossione, che dovevano essere formati entro una determinata scadenza e poi notificati, attraverso la cartella di pagamento, entro un altro termine decadenziale, da rinvenirsi nella disciplina di riferimento.

La finalità
Lo scopo della disposizione del decreto Rilancio, come si ricava dalla rubrica, è quello di «favorire la ripresa delle attività commerciali», evitando di aggravare la debitoria di imprese e professionisti attraverso la notifica di atti potenzialmente incidenti sulla sfera patrimoniale del contribuente. Un atto notificato ante tempus dunque è da ritenersi illegittimo, stante il chiaro disposto di legge. Se questa è la ratio, non si vede allora come giustificare la notifica entro fine anno di atti accertativi (e non solo) che invece non scadono nel corso del 2020.

Si tratta di interpretare la disposizione esaminata alla luce del criterio di ragionevolezza, insito nell’articolo 3 della Costituzione, in forza del quale risulterebbe del tutto ingiustificato vietare di notificare ciò che scade nel 2020 e invece ritenere liberamente notificabile ciò che decade nelle annualità future. Così peraltro contravvenendo alla chiara ratio della novella ed aggirando la portata sostanziale del precetto in esame, poiché è evidente che gli operatori economici possono essere messi in difficoltà anche con l’invio di atti riferiti ad annualità d’imposta più recenti. In linea di principio, dunque, sino alla fine dell’anno, non dovrebbe essere notificato alcun provvedimento impositivo, con le eccezioni indicate nel decreto rilancio.

Le attività indifferibili e urgenti
Al riguardo, resta da capire cosa si intende per attività indifferibili ed urgenti. Soccorre al riguardo, in prima battuta, l’esemplificazione contenuta nella circolare 11/E/2020 dell’agenzia delle Entrate, con riferimento all’articolo 67, comma 1, Dl 18/2020. Nella risposta al quesito 5.8, si rileva che gli avvisi derivanti da fattispecie penalmente rilevanti, in quanto correlati alla trasmissione della notizia di reato, non sono sospesi. Ugualmente non dovrebbero essere bloccate le richieste di misure cautelari, adottate ai sensi dell’articolo 22 del Dlgs 472/1997.

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