Adempimenti

Nuova Iva, l’esenzione si semplifica

di Paolo Centore

Un grande passo verso la certezza del diritto: è il risultato che offre una parte non trascurabile della riforma Iva presentata dalla Commissione europea con il documento 568 del 4 ottobre. In esso è contenuta la proposta di modifica del regolamento 282 del 2011, di attuazione della direttiva 112 del 2006, con riguardo alla prova da fornire per le cessioni intracomunitarie.

L'attuale legislazione (articolo 138 della direttiva) si limita a indicare che il regime di esenzione (cioè, nel nostro sistema, di non imponibilità) è accordato alle cessioni intracomunitarie a condizione che:

• l'acquirente sia un soggetto passivo dell'imposta, che agisce in quanto tale;

• i beni siano trasportati a destinazione in un altro Stato membro.

Per entrambe, oltre all’enunciazione, la norma nulla aggiunge: sicché, nella pratica attuazione, non sono mancate le contestazioni sulla prova sia dell’identificazione del cliente, sia del trasferimento dei beni al di fuori del territorio nazionale. Il vuoto normativo in punto di prova sui due elementi è stato medio tempore colmato dagli interventi di prassi. Ad esempio, con la risoluzione 71 del 24 luglio 2014, l’agenzia delle Entrate ha chiarito che «può costituire prova idonea dell’uscita del bene dal territorio dello Stato l’’esibizione del documento di trasporto da cui si evince l’uscita delle merci dal territori o dello Stato per l’inoltro ad un soggetto passivo d’imposta identificato in altro Paese comunitario».

Queste indicazioni, tuttavia, non sono sufficienti, come dimostra l’ampio contenzioso sul tema, approdato innanzi alla Corte di cassazione. E l’insufficienza non è tanto sulla “lista” di documenti che possano o meno giustificare l’esistenza delle due condizioni necessarie per l’imponibilità, quanto sulla loro valutazione. È illuminante, sul punto, Cassazione 27 luglio 2012, n. 13457, ove si precisa che «l’onere di provare l’esistenza dello scambio intracomunitario (cioè l’effettivo trasferimento del bene nel territorio di altro Stato membro) grava sul contribuente cedente, che emette la fattura dichiarando che la operazione non è imponibile; ciò proprio in ragione del principio generale di cui all’articolo 2697 del Codice civile, secondo il quale l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che legittimano la deroga al normale regime impositivo è a carico di chi invoca la deroga».

Si intuisce, allora, che il vero tema è l’onere della prova, addossata – nell’attuale contesto normativo – (solo) al contribuente, al quale si chiede non solo di dimostrare le due condizioni, ma anche di essere all’oscuro, anzi, di “non poter non sapere” che la sua controparte lo abbia ingannato con dichiarazioni mendaci.

L’intervento proposto dalla Commissione introduce un ribaltamento della prospettiva: la proposta introduce una “Sezione 2-bis”del capo VIII del regolamento, prevedendo:

• per l’identificazione, la prova che il cliente sia un operatore “certificato” (Certified tax payer), secondo le indicazioni riportate dal nuovo articolo 13-bis della direttiva;

• per il trasferimento dei beni, esattamente come per le transazioni riferite ai servizi telematici (articoli 24-bis e seguenti del regolamento 282 del 2011), il possesso di almeno due “evidenze” non contraddittorie, fra le otto individuate normativamente nel paragrafo 2 dell’articolo 45-bis del regolamento (tra cui il documento di trasporto, la ricevuta di avvenuta ricezione nel deposito all’estero eccetera).

Accanto alla predeterminazione normativa delle evidenze, viene proposta l’inversione dell’onere della prova, nel senso che, se l’operatore è in possesso di almeno due di tali documenti, la sua buona fede è presunta. E tocca, dunque, all’amministrazione fiscale contestarle, sulla base, però, di indizi di un loro uso improprio o di abuso, da parte del venditore o dell’acquirente.

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