Nuovi forfettari 2021 penalizzati dal limite del reddito di lavoro dell’anno precedente
È irrilevante la cessazione del rapporto avvenuta quest’anno: in difficoltà chi si mette in proprio durante la pandemia
Immaginiamo di essere il consulente fiscale di un lavoratore dipendente con un buon reddito ma che, in questo 2021 ricco di incognite, viene licenziato o si dimette e inizia una nuova attività in proprio aprendo partita Iva. La prima domanda che ci pone il cliente sarà: posso rientrare nel regime forfettario e, in caso positivo, con l’aliquota del 5% o del 15% sul reddito determinato in base ai meccanismi propri di questo regime?
La risposta è, ad oggi, piuttosto complicata e tendenzialmente negativa. Vediamo perché.
Il limite dei 30mila euro
Ipotizzando che il soggetto rispetti gli altri requisiti richiesti dall’articolo 1, commi 54 e seguenti, della legge 190/2014 (assenza di partecipazioni incompatibili col regime, eccetera) e che non eserciti l’attività in prevalenza col precedente datore di lavoro (elemento che, comunque, va verificato a posteriori, ossia a fine periodo d’imposta) l’ostacolo principale sta nella lettera d-ter) del comma 57, secondo cui sono esclusi dal forfait i soggetti che nell’anno precedente hanno percepito redditi di lavoro dipendente o assimilati eccedenti l’importo di 30mila euro; la verifica di tale soglia è irrilevante se il rapporto di lavoro è cessato.
Ora, nel 2020 il limite dei 30mila è stato superato dal nostro cliente. È vero che il rapporto di lavoro è cessato ma questa cessazione è intervenuta nel 2021, non nel 2020.
Secondo la circolare 10/E/2016 il limite in questione:
• non opera se il rapporto di lavoro dipendente è cessato nel corso dell’anno precedente, sempre che nel medesimo anno non sia stato percepito un reddito di pensione;
• continua a rilevare se il rapporto di lavoro dipendente cessato è stato sostituito da un nuovo rapporto entro la fine dello stesso anno precedente;
• va valutato, per quanto attiene alla cessazione del rapporto, esclusivamente con riferimento all’anno precedente a quello in cui si intenderebbe fare ingresso nel regime forfettario.
In base a quest’ultima precisazione, quindi, la causa ostativa del superamento dei 30mila euro di lavoro dipendente non viene eliminata se la cessazione è intervenuta non nell’anno precedente (nel nostro caso il 2020) ma nell’anno in corso (nel nostro caso il 2021). A poco servirebbe obiettare che tale lettera d-ter) è stata introdotta dalla legge di bilancio 2020 con decorrenza 1° gennaio 2020 - e, quindi, molti anni dopo alla circolare 10/E/2016 – perché la disposizione che fissa il limite è assai simile a quella vigente all’epoca della circolare, anche se poi il limite è stato prima rimosso e poi ripristinato nell’ambito della complessa evoluzione normativa del regime forfettario.
Ed è per questo che nulla è stato detto in proposito nella circolare 9/E/2019, in quanto diffusa quando il limite non era ancora stato ripristinato. Si tratta, ad avviso di chi scrive, di una condizione assai penalizzante in un momento in cui (anche considerando che prima o poi il blocco ai licenziamenti imposto per legge finirà) è molto facile perdere il lavoro, anche per soggetti con posizioni di livello medio-alto. Ed anche pensando al fatto che un soggetto già in regime forfettario può benissimo iniziare un contemporaneo rapporto di lavoro dipendente, nel qual caso il limite dei 30mila euro verrà verificato al termine dell’anno per valutare la permanenza del regime nell’anno successivo.
Il paradosso si raggiunge con un soggetto che, nell’anno 2020, percepisce un reddito di lavoro dipendente di 29.000 euro, importo che aumenta sino a 32.000 euro al 30 settembre 2021, data in cui si licenzia o viene licenziato. Ebbene in questo caso il nostro contribuente può, sin dal 1° ottobre successivo, aprire partita Iva nel regime forfettario e anche rimanerci nel 2022 perché:
a) nell’anno precedente (2020) il limite non è stato superato;
b) nell’anno in corso (2021) il “paletto” è stato superato ma non rileva per via della cessazione del rapporto.
Spiegare questa diversità al cliente ipotizzato all’inizio di questo articolo non sarà facile per il consulente. A nostro avviso è urgente una modifica della disciplina.
Il requisito della nuova attività
Per inciso, qualora non operasse il limite dei 30.000 euro, la scelta dell’aliquota di riferimento (15% o 5%) dipende dal disposto della lettera b) , comma 65, articolo 1, legge 190/2014, ossia il fatto che l’attività professionale o di impresa costituisca o meno «in nessun modo, mera prosecuzione di altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo, escluso il caso in cui l’attività precedentemente svolta consista nel periodo di pratica obbligatoria ai fini dell’esercizio di arti o professioni».
I chiarimenti principali in proposito si trovano tuttora nei documenti di prassi dedicati ai “minimi”, per cui tali situazioni rappresentavano vere e proprie regole d’accesso (circolari 17/E/2012, 59/E/2001 e 1/E/2001).
Carlo Delladio , Michela Zeme
Sistema Frizzera