Nuovo regime per cassa paradigma di un sistema
Il (presunto) regime di cassa per le imprese minori rappresenta un’ideale fotografia del sistema fiscale italiano.
Esiste un regime di determinazione del reddito d’impresa (articolo 66 del Tuir) che riguarda determinati soggetti cosiddetti “semplificati” (per effetto di quanto dispone l’articolo 18 del Dpr 600/1973, che disciplina un regime contabile, detto, appunto, semplificato).
A questo regime, a partire dal 2017, sono state apportate talune modifiche, che si vorrebbero di semplificazione, per avvicinare la determinazione del reddito a un criterio di cassa. Tale criterio, in base al dettato normativo, riguarda i ricavi percepiti (si tralasciano, tanto riguardano casi marginali, i dividendi e gli interessi) e le spese sostenute. Apparentemente, risulterebbe davvero una semplificazione: ricavi meno spese senza conteggiare le rimanenze. Il fatto è, però, che le poste che rilevano per cassa, alla conta dei fatti, risultano un fenomeno di tipo residuale. Questo perché la norma continua a richiamare, per alcune “voci”, le regole previste per le imprese in contabilità ordinaria, per le quali si applicano (quasi sempre) le regole della competenza temporale. Così, citando le voci principali, per i “semplificati” continuano senz’altro a rilevare per competenza: minusvalenze, sopravvenienze passive, quote di ammortamento, canoni leasing (compreso eventuale maxi canone), perdite su crediti, accantonamenti quiescenza e previdenza, spese per prestazione di lavoro dipendente, oneri di utilità sociale, spese relative a più esercizi. Peraltro, ci sono anche componenti positivi di reddito che vanno per competenza. Si tratta: del valore normale dei beni assegnati/autoconsumati, dei proventi degli immobili patrimonio, delle plusvalenze e delle sopravvenienze attive. La “beffa” è poi che, nell’ambito delle disposizioni che valgono per le imprese in ordinaria, vi sono poste che rilevano “per natura” per cassa, come i compensi agli amministratori, gli interessi di mora, gli oneri fiscali e contributivi (di cui all’articolo 99 del Tuir). Così, queste ultime voci rilevano senz’altro con il criterio di cassa anche per i “semplificati”.
La conseguenza che si ricava è che, più che un regime semplificato, la determinazione del reddito delle imprese minori rappresenti un vero e proprio labirinto, nel quale occorre districarsi tra poste che rilevano per cassa e poste (probabilmente più numerose, a questo punto) che si determinano per competenza.
In tutto questo si aggiunge la creazione di tre regimi contabili “semplificati” nell’ambito dell’articolo 18 del Dpr 600/1973 che, stando alle prime indicazioni, si vorrebbero irritualmente trasformare in regimi di determinazione dell’imposta al fine di avvalorare la previsione che l’opzione per il regime ordinario vale per tre anni (visto che per i regimi contabili le opzioni hanno durata annuale mentre sono triennali quelle relative all’imposta).
Così si ha la sensazione che questo regime condensi un po' tutte le contraddizioni del fisco italiano: dalla semplificazione che non ci sarà mai, se non si cambia alla radice il sistema, a prese di posizione che non fanno altro che alimentare complicazioni e ambiguità. Così come risulta assolutamente ambiguo definirlo un regime “di cassa”: non lo è “per natura” visto che si tratta di un (complicatissimo) regime misto cassa/competenza e poi chi lo utilizzerà si avvarrà dell’opzione secondo la quale la registrazione Iva vale come incasso/pagamento.
Chi “incassa” è solo la (ulteriore) perdita di credibilità del sistema.