Contabilità

Oic, la continuità aziendale va verificata al 31 dicembre 2019

Per tutti i bilanci post emergenza riferimento unitario pre-crisi

Verifica della continuità sul bilancio 2019: l’Oic, con il documento interpretativo 6 in pubblica consultazione fino al 3 maggio, risponde alle richieste formulate da Assonime

La norma e le interpretazioni

La necessità è sorta a causa della sin troppo sintetica formulazione del comma 2 dell’articolo 7 del Dl Liquidità, che ha visto la contrapposizione di due tesi circa il bilancio cui fare riferimento per la valutazione delle voci nella prospettiva di continuità per i bilanci chiusi entro il 23 febbraio scorso e non ancora approvati al 9 aprile.

Da un lato, alcuni hanno sostenuto che, in sede di predisposizione del bilancio 2019 per la verifica della ricorrenza del requisito della continuità aziendale, si possa fare riferimento al bilancio relativo all’esercizio precedente e quindi a quello chiuso al 31 dicembre 2018. E tale lettura troverebbe avallo nel comma 1 dell’articolo 7 (richiamato dal comma 2) che consente di redigere in continuità i bilanci relativi all’esercizio 2020, laddove la stessa sia presente nell’ultimo bilancio chiuso in data anteriore al 23 febbraio 2020 e quindi, per le società il cui esercizio coincide con l’anno solare, al 31 dicembre 2019.

Altri (tra i quali i sottoscritti) hanno giustificato, anche per ragioni di responsabilità e prudenza, una diversa lettura che interpreta il richiamo al comma 1 come finalizzato a dare a tutti i bilanci, da approvarsi dopo l’inizio dell’emergenza, un riferimento temporale unitario, rappresentato dal 31 dicembre 2019, senza considerare gli eventi sopravvenuti nell’anno in corso. Questa seconda lettura, più coerente con l’obiettivo del legislatore, varrebbe a prevenire una sorta di aberratio ictus della norma emergenziale, che finirebbe altrimenti per avallare la presentazione di un bilancio redatto on going concern basis da parte di società già prive della prospettiva della continuità aziendale alla fine del 2019.

Non bisogna dimenticare che il legislatore, nella relazione, da una parte giustifica l’intervento con la necessità di salvaguardare le imprese che presentavano una regolare prospettiva di continuità prima della crisi e che con la crisi l’avrebbero persa atteso la visione prospettica di capacità di produzione di reddito, e dall’altra esclude da tale possibilità le imprese che, indipendentemente dal Covid-19, si trovino in stato di perdita di continuità.

La lettura dell’Oic

Tali ragioni giustificano la lettura che interpreta il richiamo al primo comma come finalizzato a dare a tutti i bilanci da approvarsi dopo l’inizio dell’emergenza sanitaria un riferimento temporale unitario, rappresentato dal 31 dicembre 2019, senza considerare gli eventi sopravvenuti nell’anno in corso. Lettura questa che trova ora l’avallo dello standard setter nazionale (articolo 9-bis del Dlgs 38/2005) nel documento interpretativo 6.

Si ricorda che, da un lato, il comma 1 si applica ai bilanci che chiuderanno al 31 dicembre 2020 e a quelli «in corso al 31 dicembre 2020» e quindi ai bilanci delle società con l’esercizio a cavallo che ha avuto o avrà inizio nel corso del 2020; e che la “deroga” è utilizzabile sia nel caso in cui si presuma che non vi siano ragionevoli alternative alla cessazione sia in presenza di dubbi significativi.

L’estensione alle società Ias

Il documento dell’Oic afferma che, atteso il richiamo all’articolo 2423-bis del Codice civile, la norma si applicherebbe alle «società che per la redazione del bilancio applicano le norme del Codice civile e i principi contabili nazionali». Ma siamo sicuri che la ratio della norma giustifichi questa esclusione? Oppure anche in questo caso è ammissibile una diversa lettura? In fin dei conti, la relazione non limita l’operatività della norma, riconoscendo che l’eccezionale situazione determinata dalla pandemia ha comportato l’obbligo, per «una notevolissima quantità di imprese (...) di redigere il bilancio dell’esercizio in corso nel 2020 secondo criteri deformati». Il riferimento al solo articolo 2423-bis, comma 1, non pare un adeguato fondamento per un intervento ablativo che escluda dalla portata della presunzione le società che seguono gli Ias.

Sulla punta di spillo di un dato testuale che intende operare un riferimento all’istituto della continuità aziendale si verrebbe a creare una diversità di trattamento per realtà imprenditoriali – in primo luogo, le quotate e gli intermediari finanziari – per le quali è non meno incerto lo scenario di riferimento; ed è dunque anche in questo caso «necessario neutralizzare gli effetti devianti dell’attuale crisi economica conservando ai bilanci una concreta e corretta valenza informativa anche nei confronti dei terzi» (così la relazione illustrativa).

La disposizione tiene conto delle difficoltà degli amministratori (e dei revisori) nel definire tempi e portata dell’emergenza sanitaria e soprattutto nel prefigurare quale sarà il new normal al termine della stessa, garantendo un margine di più ampia discrezionalità. E mette entrambi, nelle rispettive funzioni, in condizione di “volteggiare” con la “rete di protezione” del presupposto del going concern ante-pandemia, conservando i criteri di valutazioni in continuità, senza che nessuno possa chiamarli a rispondere per non aver rilevato il venir meno del presupposto per eventi sopravvenuti a seguito dell’emergenza epidemiologica. Si tratta, del resto, di una valutazione che sconfina in una premonizione che si confà più a un aruspice che a un pur diligente manager o revisore. E ciò indipendentemente dai principi, nazionali o internazionali, sulla base dei quali va redatto il bilancio.

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