Controlli e liti

Omessa dichiarazione, perdite scomputate dall’imposta evasa

La sentenza 16865 della Cassazione: l’interessato deve dimostrare l’esistenza di componenti negativi dalle scritture contabili

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Per la quantificazione dell’imposta evasa penalmente rilevante, si considerano anche le perdite, ma l’interessato deve provarne la risultanza nelle scritture contabili o comunque produrre in giudizio elementi concreti per dimostrarne l’esistenza.

A fornire questo interessante principio è la Corte di cassazione, con la sentenza 16865 depositata il 4 maggio.

Il legale rappresentante di una srl era ritenuto responsabile nei due gradi di giudizio del reato di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi (articolo 5 del Dlgs 74/2000) con superamento della prevista soglia di punibilità.

Nel ricorso per cassazione, l’interessato lamentava, tra l’altro, che la Corte di appello aveva considerato quale prova dei ricavi non dichiarati, l’accertamento dell’agenzia delle Entrate, ignorando i relativi costi.

In particolare, c’erano una serie di elementi negativi di reddito che secondo l’imputato non erano stati considerati nel calcolo dell’imposta evasa. Inoltre, non era stata computata in diminuzione dall’imponibile la perdita risultante dal precedente esercizio.

La Cassazione sul punto ha rilevato che il principio espresso dalla Corte di appello non era corretto perché ai fini Ires rileva il reddito complessivo netto, detratte anche le perdite.

La sentenza riepiloga così le norme del Tuir vigenti all’epoca dei fatti, che consentivano il riporto a nuovo delle perdite conseguite negli anni precedenti, che dovevano esser astrattamente considerate nella quantificazione dell’imposta evasa penalmente rilevante.

Secondo i giudici di legittimità, occorre anche far riferimento al costante orientamento della sezione tributaria che consente l’applicazione retroattiva della deducibilità delle spese e dei compenti negativi di reddito ancorché non risultanti dal bilancio purché desumibili almeno dalle scritture contabili.

Tuttavia, nella specie, l’interessato non aveva dimostrato l’esistenza di tali perdite, facendo esclusivo riferimento ai dati contenuti nell’accertamento dell’agenzia delle Entrate.

Nel giudizio, infatti, non erano stati prodotti elementi di prova per la dimostrazione dell’esistenza delle perdite stesse. Da qui il rigetto del ricorso.

Verosimilmente, l’avviso di accertamento non riportava le perdite pregresse. In caso contrario, mal si comprenderebbe l’ulteriore prova pretesa in capo all’imputato, posto che l’Agenzia con il proprio atto ne avrebbe già “certificato” l’esistenza.

La decisione è interessante poiché applica le modifiche introdotte nell’ottobre 2015 all’articolo 1, lettera f), del Dlgs 74/2000, secondo le quali non si considera imposta evasa quella teorica e non effettivamente dovuta collegata a una rettifica in diminuzione di perdite dell’esercizio o di perdite pregresse spettanti e utilizzabili. Secondo i giudici di legittimità a tal fine è necessaria una prova, anche attraverso le mere scritture contabili, dell’esistenza delle perdite, a prescindere dal corretto riporto nelle relative dichiarazioni. Ciò si desume dall’omessa presentazione dei modelli Unico, contestati nella vicenda.

Resta da comprendere la rilevanza, per la quantificazione dell’imposta evasa, della presentazione o meno del modello Ipea (istanza di scomputo delle perdite), previsto ai fini fiscali.

La citata lettera f) fa riferimento a «perdite spettanti ed utilizzabili», e potrebbe in qualche modo alludersi ad un rinvio alle regole fiscali. Tuttavia, secondo costante giurisprudenza, il giudice penale è autonomo nella quantificazione dell’imposta evasa potendo considerare anche elementi non contabilizzati dei quali, attraverso allegazioni, sia desumibile la certezza o quanto meno il dubbio della loro esistenza.

Da questi presupposti e dalle conclusioni della sentenza, dovrebbe quindi conseguire che il giudice debba scomputare le perdite (se esistenti) a prescindere dalla regolarità di adempimenti formali (modello Ipea).

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©