Controlli e liti

Omessi versamenti, restano le sanzioni se non si è interrotta l’attività

La Cassazione ammette l’escusione solo con circostanze anormali e imprevedibili (ma l’udienza è pre-Covid)

di Laura Ambrosi

L’esclusione delle sanzioni per gli omessi versamenti è possibile solo in presenza di circostanze anormali ed imprevedibili e se il contribuente dimostri di aver interrotto la propria attività. Ad affermarlo è la Cassazione con l’ordinanza 20389/2020 depositata il 28 settembre.

Una società in fallimento impugnava alcune cartelle di pagamento per omesso versamento delle imposte, notificate ritenendo non dovute le sanzioni a causa di una grave situazione finanziaria.

Entrambi i giudici di merito confermavano l’illegittimità della pretesa nel presupposto che in materia tributaria l’applicazione delle sanzioni presuppone un comportamento quanto meno colposo. Nella specie, la società aveva imputato a cause di forza maggiore l’omesso pagamento delle somme dovute, quali la congiuntura economica ed il mancato sostegno dei soci (soggetti di diritto pubblico).

L’Agenzia ricorreva in Cassazione lamentando, in estrema sintesi, un’errata applicazione della norma.

I giudici di legittimità, ritenendo fondato il motivo, hanno innanzitutto precisato che la «forza maggiore», in conformità con la giurisprudenza unionale, comporta la sussistenza di un elemento oggettivo, relativo cioè a circostanze anormali ed estranee, ed un elemento soggettivo, ossia che l’interessato si sia premunito contro le conseguenze, adottando misure appropriate, senza incorrere in sacrifici eccessivi.

Ne consegue che la temporanea mancanza di liquidità causata dalla crisi aziendale non è sufficiente.

La sfavorevole congiuntura economica del tutto esterna alla contribuente e la mancanza di supporto dai propri soci, dinanzi al rischio della continuità aziendale, avrebbe dovuto indurre l’interruzione delle attività ordinarie, l’eventuale effettuazione di operazioni straordinarie ed in ultimo anche il ricorso ad una procedura di crisi o di insolvenza.

L’organo amministrativo, per di più in caso di società a partecipazione pubblica, è tenuto, senza indugio, ai provvedimenti necessari onde prevenire l’aggravamento della crisi attraverso un piano di risanamento.

La decisione offre lo spunto per una riflessione legata alla diffusa crisi derivante dall’emergenza epidemiologica.

Sebbene si tratti indubbiamente di una situazione «anormale ed estranea» al contribuente, secondo i principi ora affermati dalla Cassazione, potrebbe non sussistere l’esimente per l’inapplicabilità delle sanzioni tributarie.

Molte imprese, infatti, hanno (condivisibilmente) scongiurato la crisi, non con l’interruzione o la chiusura, bensì proprio proseguendo la propria attività, pur nella consapevolezza del rischio di aggravamento della posizione debitoria. Va detto che la pronuncia si riferisce ad un’udienza del 15 gennaio (sebbene depositata il 28 settembre), quando cioè l’attuale crisi non era neanche ipotizzabile.

È pertanto auspicabile, che la rigorosità di tali principi venga mitigata da una maggior apertura alla luce dell’imprevedibile situazione, fronteggiata dagli imprenditori italiani in misura diametralmente opposta a quanto suggerito in questa pronuncia.

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