Partecipazioni, la detenzione prolungata blinda la Pex
La classificazione delle partecipazioni in bilancio deve rispettare le regole del Codice civile di redazione del bilancio
Come è noto, uno dei requisiti per l’applicazione del regime di esenzione sulle plusvalenze da cessione di partecipazioni nell’ambito del reddito di impresa, di cui all’art. 87 del Tuir (c.d. “participation exemption” o semplicemente “pex”), riguarda la classificazione delle partecipazioni oggetto di cessione nella categoria delle immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso (Cfr. comma 1, lett. b), art. 87, del Tuir).
Per i soggetti che redigono il bilancio secondo lo schema previsto dall’art. 2424 del Codice civile (società di capitali Oic adopter), il requisito dell’iscrizione tra le immobilizzazioni finanziarie è verificato se le partecipazioni sono classificate nella voce B.III dell’attivo dello Stato patrimoniale (Come è stato confermato dalla Circ. n. 36/E/2004, le imprese in contabilità semplificata non possono mai fruire della “pex” perché, in assenza di un bilancio, non possono soddisfare proprio la condizione dell’iscrizione della partecipazione nelle immobilizzazioni).
La condizione della classificazione tra le immobilizzazioni deve essere verificata nel primo bilancio di iscrizione della partecipazione stessa, a nulla rilevando eventuali successive riclassifiche da e verso l’attivo circolante (Così Circ. n.36/E del 2004, par. 2.3.2).
Le regole civilistiche di classificazione delle partecipazioni e i recenti chiarimenti dell’Oic
Dato che nell’ambito della disciplina della determinazione del reddito di impresa, contenuta nel Tuir, non sono dettate specifiche regole per la classificazione di un’attività nelle immobilizzazioni piuttosto che nell’attivo circolante, non possono che valere anche ai fini tributari le regole in materia dettate dai principi contabili di riferimento.
La “classificazione in bilancio” è citata dal comma 1 dell’art. 83 del Tuir tra gli elementi su cui opera la cosiddetta «derivazione rafforzata» per i soggetti Oic adopter, ma in questo caso non vi sono specifiche disposizioni fiscali in tema di classificazione delle attività suscettibili di essere derogate dalle regole di classificazione previste dai principi contabili applicati. Di conseguenza, le regole di classificazione delle attività tra le immobilizzazioni o nell’attivo circolante dettate dai principi contabili Oic devono ritenersi rilevanti ai fini fiscali anche per le c.d. “micro-imprese” (art. 2435-ter c.c.), per le quali, come è noto, la derivazione rafforzata non opera.
Ciò premesso, per quanto riguarda le imprese che adottano i principi contabili nazionali, l’Oic 12 – “Composizione e schemi del bilancio d’esercizio” (emanato nel 2016, a seguito della riforma del bilancio d’esercizio -Dpr n. 139/2015- e aggiornato nel 2017) al par. 31 precisa che la classificazione degli elementi dell’attivo è effettuata sulla base del criterio della «destinazione», in base al quale, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 2424-bis, comma 1, c.c., “gli elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente devono essere iscritti tra le immobilizzazioni”.
Si rende, dunque, applicabile il criterio della destinazione funzionale, cosicché i beni destinati alla vendita devono essere classificati nell’attivo circolante, mentre quelli destinati a permanere durevolmente nel patrimonio dell’impresa devono essere classificati nelle immobilizzazioni.
In tal senso l’Oic 16 al par. 4 stabilisce che “le immobilizzazioni materiali sono beni tangibili di uso durevole costituenti parte dell’organizzazione permanente delle società, la cui utilità economica si estende oltre i limiti di un esercizio. Il riferirsi a fattori e condizioni durature non è una caratteristica intrinseca ai beni come tali, bensì alla loro destinazione. Esse sono normalmente impiegate come strumenti di produzione del reddito della gestione caratteristica e non sono, quindi, destinate alla vendita, né alla trasformazione per l’ottenimento dei prodotti della società”.
Più articolati, sebbene sempre orientati al principio della destinazione, risultano i criteri dettati per la classificazione in bilancio delle partecipazioni.
L’Oic 21, al par. 10, stabilisce, infatti, che “la classificazione nell’attivo immobilizzato e nell’attivo circolante di una partecipazione dipende dalla destinazione della partecipazione. Le partecipazioni destinate ad una permanenza durevole nel portafoglio della società si iscrivono tra le immobilizzazioni, le altre vengono iscritte nell’attivo circolante. Al fine di determinare l’esistenza della destinazione a permanere durevolmente nel patrimonio dell’impresa si considerano la volontà della direzione aziendale e l’effettiva capacità della società di detenere le partecipazioni per un periodo prolungato di tempo”.
L’Oic 21 precisa che, in coerenza con quanto illustrato, gli organi amministrativi, in relazione alle proprie strategie aziendali, possono destinare, nel rispetto del criterio della destinazione economica, un portafoglio di partecipazioni della medesima specie, in parte ad investimento duraturo, da iscriversi nell’attivo immobilizzato, in parte alla negoziazione, da iscriversi nell’attivo circolante.
Va, tuttavia, tenuta presente anche la presunzione (non assoluta) contenuta nell’articolo 2424-bis, comma 2, c.c. in base alla quale “le partecipazioni in altre imprese in misura non inferiore a quelle stabilite dal terzo comma dell’art. 2359 si presumono immobilizzazioni”, per cui le partecipazioni in imprese “controllate” e “collegate” si presumono per legge da iscrivere nelle immobilizzazioni finanziarie.
Tale presunzione può essere superata in quanto anche una partecipazione che consenta l’esercizio di voti superiori al limite per essere “collegata” o “controllata” può essere comunque iscritta nell’attivo circolante qualora il redattore del bilancio fornisca adeguate motivazioni circa la destinazione della partecipazione a costituire un investimento di breve periodo, mentre una partecipazione dotata di un numero di voti nell’assemblea ordinaria inferiore a quello previsto dalla norma citata può comunque essere iscritta nelle immobilizzazioni finanziarie se è effettivamente destinata a costituire un investimento durevole.
Le partecipazioni in società a controllo congiunto (joint venture) sono classificate nelle partecipazioni in imprese collegate.
In merito alla classificazione in bilancio delle partecipazioni l’Oic ha recentemente chiarito (“Risposta al quesito in merito all’Oic 21 Partecipazioni” del 3 dicembre 2020) che, tenuto conto di quanto previsto dal citato principio 21, ciò che rileva ai fini della classificazione in bilancio delle partecipazioni (di controllo e non), è la volontà della direzione aziendale e l’effettiva capacità della società di detenere le partecipazioni per un periodo prolungato di tempo. Dunque la mera prospettiva di vendita non è condizione sufficiente a determinare la classificazione nell’attivo circolante. Detta partecipazione sarà classificata nell’attivo immobilizzato se l’impresa prevede di venderla dopo un periodo prolungato di tempo dalla sua iscrizione in bilancio e se ha la capacità di mantenerla in portafoglio per un periodo prolungato di tempo (Cfr. F. Roscini Vitali, Partecipazioni, in bilancio secondo destinazione, in “Il Sole 24 Ore” del 5 dicembre 2020 e G. M. Committeri, La partecipazione detenuta almeno 12 mesi mette al riparo da contestazioni sulla Pex, in “NTPlus” dell'8 dicembre scorso).
Al riguardo l’Oic ritiene che per «prolungato periodo di tempo» debba considerarsi un arco temporale non inferiore a 12 mesi.
La versione definitiva chiarisce che i criteri di classificazione in questione riguardano tutte le partecipazioni e non solo quelle di controllo: si tratta, infatti, dell’applicazione di un principio generale. L’Oic non ha ritenuto necessario un intervento di carattere interpretativo o emendativo in relazione al principio contabile Oic 21 perché il paragrafo 10 del documento prevede già quanto confermato dalla risposta al quesito conferma.
Il potere dell’Amministrazione finanziaria di contestare la classificazione in bilancio delle partecipazioni
Come detto, i principi civilistici di classificazione delle partecipazioni previsti dagli Oic assumono anche rilevanza fiscale, ai fini della possibilità di applicare l’esenzione di cui all’art. 87 del Tuir.
Vi è pertanto da chiedersi se l’Amministrazione finanziaria possa contestare l’appostazione in bilancio di una partecipazione nelle immobilizzazioni finanziarie, ai fini dell’accertamento del reddito di impresa, qualora non siano rispettate le relative regole di redazione del bilancio.
Al riguardo, la previgente normativa generale antielusiva di cui all’art. 37-bis del Dpr n. 600/1973, proprio a seguito dell’introduzione della “pex”, era stata aggiornata con l’inserimento di una ulteriore fattispecie di potenziale elusione concernente la classificazione in bilancio delle partecipazioni (Si tratta della lettera f) del comma 3 dell’art.37- bis del Dpr n. 600/1973, inserita dall’art. 2, comma 1, lettera e), punto 1), del Dpr 12 dicembre 2003, n. 344, in vigore dal 1° gennaio 2004. Sul tema, più in generale, si rinvia a G. Gavelli La “participation exemption” contrasta con il principio del disinquinamento dei bilanci, in “Corriere Tributario” n. 30/2004, pag. 2339).
Nonostante il citato art. 37-bis sia stato abrogato a seguito dell’introduzione nel 2015 della nuova norma sull’abuso del diritto di cui all’art. 10-bis della legge n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente) - la quale non annovera più specifiche fattispecie suscettibili di essere considerate elusive - si ritiene che sussista comunque un generale potere dell’Amministrazione finanziaria di disconoscere classificazioni di bilancio non conformi alle regole civilistiche qualora queste abbiano riflessi sulla normativa fiscale.
Il potere dell’Amministrazione finanziaria di contestare le appostazioni di bilancio ai fini dell’accertamento del reddito di impresa era già stato affermato in vigenza della “derivazione semplice” sia dalla prassi ministeriale che dalla giurisprudenza (Per quanto riguarda la prassi si vedano la Circolare n. 25/2007, par. 3.2.2 e la Circolare n. 19/2009 in tema, rispettivamente, della disciplina delle società di comodo e di quella della indeducibilità degli interessi passivi. Per la giurisprudenza si vedano, tra le più recenti, Cass. sent. n. 25969 del 20 novembre 2013 e sent. n. 26824 del 18 dicembre 2014 ).
Con l’avvento della “derivazione rafforzata” per i soggetti IAS adopter (poi, come è noto, estesa dal 2016 anche ai soggetti Oic adopter, diversi dalle micro-imprese), l’Agenzia delle entrate, con la Circ. n. 7/E/2011 (par. 3.1), ha confermato che l’Amministrazione finanziaria ha la facoltà di verificare la corretta applicazione dei criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione adottati nei bilanci IAS compliant, proprio perché questi hanno rilevanza fiscale.
Se da tale verifica emerge che la rappresentazione contabile dei fatti di gestione adottata in bilancio non sia conforme a quella prevista dai principi contabili di riferimento, l’Amministrazione finanziaria può rideterminare l’imponibile applicando i corretti criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione previsti dai principi contabili stessi.
In ambito giurisprudenziale, per lo specifico tema dell’applicazione della “pex” va menzionata la sentenza n. 190/05/2018 del 4 aprile 2018 della Commissione Tributaria Provinciale di Brescia, la quale ha affrontato il caso di un accertamento basato sulla riclassificazione di azioni, operata dall’Ufficio, tra immobilizzazioni e attivo circolante (Per un commento cfr. G. Gavelli, Sì a partecipazioni sdoppiate in bilancio, in “Il Sole-24 Ore” del 7 maggio 2018).
Nella predetta sentenza la Commissione tributaria - evidenziando l’assenza, nell’ordinamento tributario, di disposizioni che attribuiscano all’Amministrazione finanziaria la possibilità, o il potere, di rettificare arbitrariamente le poste che vengono rilevate nel bilancio d’esercizio - ha precisato che questa può tuttavia disconoscere le appostazioni operate in bilancio sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, in applicazione delle previsioni dell’art. 39, comma 2 lett. d), del Dpr 600/73. In tal caso l’accertamento previsto è esperibile soltanto qualora “[...] le irregolarità formali delle scritture contabili... sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica”.
Nel caso oggetto del ricorso, secondo i giudici di Brescia, le affermazioni dell’Ufficio contenute nell’avviso di accertamento erano da ritenersi prive di valore probatorio poiché rilasciate in assenza dei requisiti imprescindibili della gravità, precisione e concordanza, ferme restando la regolare tenuta delle scritture contabili e le conseguenti appostazioni corrette nel bilancio d’esercizio, tanto più che il pieno rispetto delle norme civilistiche e contabili era stato confermato, come risulta dalla documentazione agli atti, anche dalla società di revisione, quale organo incaricato del controllo contabile, che ha affermato, con la piena responsabilità civile e penale propria del revisore, che il bilancio della società “[...] è conforme alle norme che ne disciplinano i criteri di redazione; esso è pertanto redatto con chiarezza e rappresenta in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato economico della Società”.
Conclusioni
Ai fini dell’applicazione del regime della “pex” la classificazione delle partecipazioni tra le immobilizzazioni nel primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso deve essere operata nel rispetto delle regole del Codice civile di redazione del bilancio (per i soggetti che applicano i principi contabili nazionali emanati dall’Oic).
A tale riguardo la risposta dell’Oic al citato quesito del 3 dicembre 2020 risulta particolarmente importante perché chiarisce che la partecipazione è classificata nell’attivo immobilizzato se l’impresa prevede di venderla dopo un periodo prolungato di tempo (ovvero oltre 12 mesi) dalla sua iscrizione in bilancio e se ha la capacità di mantenerla in portafoglio per tale periodo.
Fermo restando che, come evidenziato da giudici di Brescia, dovrebbe essere l’Ufficio a fornire idonea prova della diversa classificazione delle partecipazioni ai sensi della disciplina civilistica, per evitare il nascere di contestazioni fiscali l’impresa dovrebbe essere sempre in grado di fornire evidenza del fatto che, a fronte della classificazione nelle immobilizzazioni, non vi è la volontà di cedere la partecipazione (almeno) nei 12 mesi successivi alla sua acquisizione e che vi è l’effettiva capacità di mantenere la partecipazione in portafoglio per almeno detto periodo perché, ad esempio, l’impresa non è costretta a venderla per rimborsare un finanziamento o perché è imminente una procedura di liquidazione volontaria o concorsuale dell’impresa stessa. Quanto deliberato dall’organo amministrativo in sede di acquisto della partecipazione e quanto riportato nella successiva nota integrativa dovrebbe correttamente riportare questi concetti, al fine di eliminare in radice possibili problematiche in sede di verifica.
Questo articolo fa parte del nuovo Modulo24 Tuir del Gruppo 24 Ore.
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