Peer to peer lending, ritenuta d’imposta al 26% solo se il gestore è regolamentato
Il regime speciale si applica se il gestore è un intermediario finanziario o un istituto di pagamento
Lo speciale regime che prevede la ritenuta d’imposta del 26% non si applica ai casi di peer to peer lending in cui il gestore della piattaforma non è intermediario finanziario o istituto di pagamento. Questa in sintesi la risposta a interpello 687 dell’8 ottobre.
Il gestore della piattaforma opera come agente di pagamento di un istituto di pagamento francese autorizzato dall’autorità di vigilanza bancaria francese (Acpr) e dotato del passaporto europeo per l’operatività transfrontaliera. Il P2P lending è una forma di disintermediazione bancaria attraverso cui sono messi in contatto i risparmiatori e le imprese bisognose di fondi, mediante strutture fintech operanti su piattaforme informatiche.
L’Agenzia ricorda che per beneficiare della ritenuta d’imposta del 26% le persone fisiche (non imprenditori) devono investire in strumenti di P2P lending su piattaforme gestite da intermediari finanziari o istituti di pagamento ex articoli 106 e 114 del Testo unico bancario. Poiché il gestore non riveste alcuna delle due forme, non può applicare tale ritenuta d’imposta, come chiarito anche dalla risoluzione 56/E/20. I proventi percepiti sono tuttavia redditi di capitale ex articolo 44, comma 1, lettera a) del Tuir trattandosi di attività parificabile al mutuo. In base all’articolo 26, comma 5 del Dpr 600/73 si applica quindi una ritenuta d’acconto del 26% (d'imposta invece per i percettori non residenti).
Nel caso di specie l’istante, che opera come proponente dei finanziamenti, è obbligato comunque ad operare da sostituto d’imposta. Per la determinazione della plusvalenza da cessione di partecipazioni l’atto del realizzo determina il regime di tassazione applicabile, mentre poi l’effettivo incasso determina il periodo d’imposta in cui va assoggettato a tassazione il reddito (risposta a interpello 686 del 7 ottobre 2021). Nel 2015 il padre ha ceduto le proprie quote al figlio con un accordo per cui avrebbe avuto diritto alla retrocessione di somme nel caso di successive cessione effettuata dal figlio. Ciò è avvenuto nel 2019, con un’integrazione di prezzo a favore del venditore nel 2020. Questa integrazione è stata liquidata direttamente dall’acquirente al padre. Poiché l’atto del realizzo è dunque il 2015, la plusvalenza in capo al padre è tassata al 49,72% (parziale imponibilità per le cessioni di partecipazioni qualificate dal 1°gennaio 2009 al 31 dicembre 2017) da tassare poi nel 2020 (principio di cassa). In capo al figlio l’integrazione di prezzo comporta un incremento del costo fiscale della partecipazione di pari importo e, dunque, di un reddito diverso pari a zero non soggetto a indicazione nella dichiarazione dei redditi.