Controlli e liti

Per i debiti «colpa» dell’amministratore senza automatismi

Per la Cassazione 15377 occorre la prova che abbia utilizzato impropriamente le disponibilità finanziarie

di Laura Ambrosi

Non sussiste un’automatica responsabilità solidale dell’amministratore nei debiti della società, poiché è necessaria la prova che ha utilizzato impropriamente le disponibilità. Lo afferma la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 15377/2020.

L’agenzia delle Entrate notificava all’amministratore di una società una cartella di pagamento derivante da un avviso di accertamento emesso nei confronti solo dell'ente. Con il provvedimento erano pretesi dall’amministratore debiti tributari della società, nel presupposto che egli fosse un “coobbligato in solido”.

La cartella veniva impugnata dinanzi al giudice tributario che, per entrambi i gradi di merito, confermava la legittimità della pretesa.

Il contribuente ricorreva in Cassazione lamentando un’errata applicazione della norma atteso che mancavano le ragioni per le quali l’ufficio lo avesse ritenuto responsabile dei debiti dell'ente.

Per la Suprema Corte la doglianza è fondata.I giudici di legittimità hanno rilevato che la responsabilità dei liquidatori, degli amministratori e dei soci di società in liquidazione è disciplinata dall’articolo 36 del Dpr 602/73, secondo il quale non sussiste alcuna successione o coobbligazione nei debiti tributari delle società. Secondo la norma vigente all’epoca dei fatti, era riconosciuta all’amministrazione finanziaria la possibilità di agire nei confronti del liquidatore nel caso egli avesse esaurito le disponibilità senza provvedere al pagamento dei debiti tributari. Si tratta di un credito non strettamente tributario, bensì civilistico, che trova titolo autonomo rispetto all’obbligazione fiscale vera e propria.

A tal fine occorre così che tale responsabilità sia accertata dall’ufficio con atto motivato da notificare all'amministratore/liquidatore.

In tale contesto, va evidenziato che il nuovo articolo 36 del Dpr 602/73 (in seguito al Dlgs 175/2014), ha modificato l’onere probatorio. Ora infatti è previsto che i liquidatori delle società che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute rispondono in proprio del pagamento se non provano di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di avere soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari. La predetta responsabilità è commisurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti.

L’Agenzia (circolare 6/E/2015) ha precisato che sebbene non esista un preciso ordine di graduazione dei crediti, possono valere le regole dell’articolo 2777 del Codice civile. Ne consegue che i liquidatori, per non rispondere in proprio degli obblighi tributari della società estinta, devono dimostrare di aver rispettato tale ordine di preferenza nel soddisfacimento dei creditori sociali.

Applicando il principio affermato dalla Cassazione, l’Agenzia è comunque tenuta alla notifica di un atto specifico intestato all’amministratore/liquidatore, per il quale in sede di impugnazione occorrerà dimostrare il corretto comportamento adottato nel rispetto di tutti i creditori.

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