Perdite con cessione infragruppo: l’apertura che ancora manca (senza abuso del diritto)
La trasformazione delle Dta non consente di centralizzare il recupero del credito senza trasferire il beneficio
Per assicurare liquidità alle imprese, evitando al contempo ingiuste penalizzazioni, risulta opportuno incrementare il limite massimo del credito d’imposta riconosciuto in sede di cessione di crediti deteriorati consentire la cessione di tali crediti anche all’interno dei gruppi societari. Queste le due principali linee di intervento che andrebbero valutate in sede di conversione in legge del decreto “cura Italia” (articolo 55 del Dl 18/2020), che dopo essere stato approvato con modifiche dal Senato in prima lettura è ora all’esame della Camera.
L’attuale disposto normativo introduce un incentivo per le società che entro il 31 dicembre 2020 decidano di cedere a terzi crediti pecuniari (sia di natura commerciale che finanziaria) vantati nei confronti di debitori inadempienti da più di 90 giorni, attraverso la trasformazione in credito di imposta delle attività per imposte anticipate (Dta) relative a: perdite fiscali non ancora dedotte; eccedenze Ace non dedotte né fruite tramite credito d’imposta alla data della cessione.
Le perdite fiscali (determinate senza tener conto dei limiti all’articolo 84, comma 1, del Tuir) e le eccedenze Ace possono essere considerate per un ammontare massimo non eccedente il 20% del valore nominale dei crediti ceduti. In ogni caso, i crediti ceduti possono essere considerati per un valore nominale massimo pari a 2 miliardi di euro, computato a livello di gruppo.
Inoltre, i crediti in questione devono essere ceduti solo nei confronti di società “terze”, non essendo agevolabili le cessioni effettuate nei riguardi di società che appartengono allo stesso gruppo societario della società cedente ovvero le cessioni fra società che sono legate da rapporti di controllo ex articolo 2359 del Codice civile e quelle tra società controllate, anche indirettamente, dallo stesso soggetto.
L’obiettivo di trasformare immediatamente in liquidità poste dell’attivo, che avrebbero potuto avere manifestazione numeraria solo in futuro, attualmente si scontra con lo scarso appeal verso il mercato di cessioni di crediti deteriorati, con il conseguente rischio di effettuare operazioni a valori sensibilmente inferiori a quelli ottenibili in altre situazioni o di non poterle proprio effettuare per mancanza di acquirenti.
Sarebbe quindi opportuno consentire alle imprese di far emergere queste perdite attraverso una cessione infragruppo, centralizzando in tal modo le operazioni di recupero del credito in un’unica entità senza trasferire al di fuori del gruppo il beneficio derivante dall’eventuale recupero del credito ceduto, nel limite generale dell’abuso del diritto in ipotesi di operazioni prive di alcuna finalità economica. In tal modo, si eviterebbero possibili operazioni speculative in un periodo storico in cui alcune imprese potrebbero essere costrette ad operare delle cessioni a valori «fuori mercato».
Altrettanto incisivo sarebbe l’innalzamento del limite del 20% del valore nominale dei crediti ceduti quale importo massimo convertibile in credito d’imposta. Tale limite, infatti, pur essendo determinato sul valore originario dei crediti e non su quello di cessione non si ritiene idoneo a ristorare in misura adeguata il danno emergente da una cessione del credito ad un valore inferiore a quello nominale e la conseguente assenza di liquidità derivante dal mancato incasso del credito. Risulta, quindi, auspicabile un parziale ripensamento di una norma lodevole nell’intento ma da rendere maggiormente incisiva stante l’attuale contesto generale.